Dell’autore dell’ennesima strage avvenuta in un college americano, si sa poco. Si presentava come un conservatore repubblicano, spirituale ma non religioso, criticava il consumismo, aveva un rapporto morboso con la madre separata dal marito e non aveva mai avuto una ragazza. Nessuno di questi fatti, preso in considerazione in precedenza, avrebbe permesso di prevedere e prevenire il suo gesto, anche se l’aver indicato tra i suoi hobby l’uccidere gli “zombi”, getta un po’ di luce, a posteriori, sul meccanismo della sua azione.

I repubblicani si sono aggrappati alla malattia mentale, protestando per i pazzi lasciati girare liberamente tra la gente normale. Pensano che gli autori di queste stragi siano malati mentali geneticamente predeterminati, per nulla collegati al disagio sociale. Il loro agire sarebbe facilitato dall’eccesso di tolleranza nei confronti della devianza e solo insegnanti addestrati all’uso delle armi potrebbero fermarli.

In contrasto, Obama ha riproposto il bando alla diffusione incontrollata delle armi. La ragione è dalla sua parte (l’opinione pubblica in gran parte no). La libera vendita delle armi non determina direttamente le stragi, ma facilita palesemente il loro compimento. Fatto ben più grave: è l’ideologia sottostante alla vendita il “mandante morale” degli assassini.

È grave circoscrivere le cause dei raptus di follia omicida nell’ambito della malattia mentale individuale. Non per capirne la natura, ma per decretarne l’inaccessibilità, per chiuderle nel recinto di un’insondabile mostruosità da isolare e reprimere. Per quanto sia molto difficile accettarlo, le stragi compiute da una singola persona, senza un movente definito, non sono azioni individuali. Individuale può essere l’atto folle compiuto sotto l’effetto di un’alterazione della percezione della realtà di tipo delirante e/o allucinatorio, in cui l’alterazione stessa è il tentativo disperato di individuazione, attraverso la personalizzazione della propria esperienza, in un mondo altrimenti privo di senso. Tuttavia, questo atto non sfocia mai in una strage indiscriminata e raramente arriva all’omicidio.

Il pluriomicida di Oregon non appartiene alla categoria delle persone che impazziscono per soggettivarsi, che si “rompono” per non disumanizzarsi. Ha da tempo pagato il prezzo di una spersonalizzazione estrema della sua esistenza per non andare in pezzi. Si è mantenuto compatto aderendo a stereotipi (la cui incoerenza non fa che rinforzare l’indifferenza del vivere che promuovono). La sua azione di morte è stato un gesto estremo di dis-individuazione.

Quando il vivere soggettivo tende a ridursi a un fatto oggettivo e si diventa zombi, ciò che resta vivo prende le sembianze di fantasmi che ossessionano. Si uccide per far sparire questi fantasmi. Per nascondere al proprio sguardo lo zombi in cui si è trasformati. Si proietta questo zombi (in cui sopravvive ancora qualcosa di sé) negli altri e lo si elimina.

La follia (non lo stato alterato di coscienza che può avere cause organiche) non alloggia primariamente nelle persone e nelle relazioni familiari, anche se è lì che si estrinseca e può assumere una forma privata, personale, o anonima. Abita le relazioni sociali, i luoghi della loro oggettivazione in rapporti di potere puri, totalmente astratti dal desiderio.
Cosa significa la compulsione ad essere armati, se ciò non protegge dalla violenza ma espone maggiormente ad essa? La volontà di schermarsi, di annullare l’apertura alla vita: far a meno dell’altro, la forma assoluta del potere. Questa volontà fabbrica da sola, nel silenzio, i suoi “mostri”. Non li importa da Marte.