Le opposizioni siriane voltano la carta. Nel giro di 48 ore la Coalizione Nazionale ribalta la propria posizione, nell’estremo tentativo di sopravvivere all’onda islamista che sta spazzando via quel che resta dei partner occidentali in Siria.

La giravolta ha avuto come teatro Parigi e come spalla il presidente Hollande che, dopo aver definito Assad partner non credibile, non ha fatto mancare il suo plauso all’iniziativa delle opposizioni, da lui sostenuta. Nel corso del meeting della Coalizione, infatti, il presidente Khaled Khoja ha tenuto a battesimo “la nuova strategia” dei ribelli: «Insistiamo nell’obiettivo di far cadere Assad. Ma non è necessario avere questa condizione all’inizio del processo, sarà necessario alla fine».

Così la Coalizione abbandona le insostenibili posizioni garantite finora dagli alleati occidentali. Eppure fino a mercoledì rispediva all’inviato Onu de Mistura, con scadenza settimanale, il piano di cessate il fuoco locali, piano sempre rigettato dai ribelli che ponevano come condizione sine qua non la testa del presidente.

Tempo 48 ore e quella pre-condizione non è più cruciale. A Parigi la Coalizione ha presentato una road map redatta insieme al Comitato di Coordinamento Nazionale (opposizione non in esilio) che chiede la creazione di un governo di transizione e afferma che «il principale obiettivo del negoziato con Assad è un sistema civile e democratico che garantisca uguali diritti e doveri».

Cosa è successo? Come in un domino le poche certezze rimaste sono crollate. E con loro la strategia portata avanti a testa bassa dagli Stati Uniti. Quel modello, il sostegno incondizionato a opposizioni ormai quasi assenti dal campo di battaglia e politicamente debolissime, ha fallito. Dopo quattro anni di guerra civile, ai moderati resta il controllo di poche comunità a nord-ovest e a sud; il resto è in mano al governo o ad al-Nusra e Stato Islamico, che da solo controlla un terzo del paese, da Raqqa al confine con l’Iraq.

Il nemico primario non è Assad, il cui esercito è l’unica forza (insieme alla resistenza kurda) che freni l’avanzata islamista. Il nemico sono i gruppi radicali in marcia verso Aleppo. Già, Aleppo: la seconda città siriana, martoriata e rasa al suolo, è la Waterloo della Coalizione e del suo Esercito Libero. Gli ultimi giorni di scontri sono stati durissimi e, dopo aver fallito la presa della base dell’intelligence siriana alla periferia della città, operazione su cui hanno investito uomini e armi, i ribelli hanno capitolato.

Dietro, il modello fallimentare del gruppo Harakat Hazm, milizia ribelle creata dalla Cia per distribuire armi e combattere l’esercito governativo: dopo un anno ha sventolato bandiera bianca. Uno smacco per Washington che ha fondato la propria strategia quasi esclusivamente sulle opposizioni moderate. Lo scioglimento del gruppo getta ombre sul programma appena lanciato in Turchia dagli Usa (l’addestramento di 15mila ribelli) soprattutto alla luce delle foto pubblicate da al-Nusra: le armi made in Usa ce l’hanno i qaedisti.

E mentre Washington si cosparge il capo di cenere, la Russia ne approfitta e rilancia il tavolo del negoziato previsto per fine gennaio ma disertato dalla Coalizione: se ne riparla ad aprile, fa sapere Mosca, quando «un’ampia sezione delle opposizioni sarà presente». Segue la Francia che ritira fuori dal cilindro la conferenza di Ginevra.