>Le «deplorevoli» condizioni di vita dei carcerati e l’urgenza primaria e scottante di politiche in favore del loro reinserimento nella società sono nodi sui quali Papa Francesco è tornato già più volte, in questi primi giorni del 2017. Fa il suo lavoro, il Santo Padre, ma è indubbio che Bergoglio rivolga alla questione giustizia un’attenzione particolare, inedita tra i suoi pari, come ha dimostrato nel 2013, appena quattro mesi dopo il suo insediamento, riformando con un motu proprio il codice penale del Vaticano e introducendo, per la prima volta nella storia, il reato di tortura tra quelli contemplati Oltretevere. E infatti nel 2014, non appena concesse udienza ad una delegazione dell’Associazione internazionale dei penalisti, Francesco colse l’occasione per parlare a tutti i professionisti del sistema penale, di tutto il mondo, e forse più in generale a tutti gli uomini di cultura. Con un discorso che non si sofferma sulla retorica della rieducazione né calca la mano sulla parola «speranza», come avrebbe fatto qualsiasi altro dei suoi predecessori, ma arriva invece a denunciare la deriva «selettiva», classista, addirittura razzista del sistema penale, praticamente in ogni parte della terra. Si spinge oltre, il Papa, e arriva a chiedere un cambio di paradigma – non solo il carcere, ma addirittura la pena come extrema ratio – rivolgendosi ovviamente soprattutto agli Stati occidentali dove il primato del principio pro homine può e deve essere ancora tutelato.
Ad analizzare punto per punto questo discorso «potente e radicale», il presidente di Antigone e della Cild, Patrizio Gonnella, e il costituzionalista docente all’Università Roma Tre, Marco Ruotolo, hanno chiamato 23 esperti, di estrazione ed esperienze diverse, dalla vicepresidente della Corte costituzionale Marta Cartabia al giurista Luigi Ferrajoli, dall’ex Guardasigilli Giovanni Maria Flick all’ergastolano Carmelo Musumeci, dall’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia al Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma. Ne è nato il libro pubblicato da Jaca Book «Giustizia e carceri secondo papa Francesco». Un discorso che parte con il dito puntato contro «l’incitazione alla vendetta e il populismo penale», contro la «tendenza a costruire» la «figura stereotipata» del nemico, per poi confermare la messa al bando incondizionata della pena di morte, definire l’ergastolo «una pena di morte nascosta» e la carcerazione preventiva «un’altra forma contemporanea di pena illecita occulta, al di là della patina di legalità». Non solo sovraffollamento, nelle «deplorevoli» condizioni detentive: Papa Francesco usa le parole del defunto leader radicale Marco Pannella, di cui apprezzò le lotte nonviolente in favore di una giustizia giusta, per definire anche la reclusione nei carceri di massima sicurezza come «una forma di tortura». La conclusione è proprio una condanna netta e senza appello a quel «plus di dolore» che è la tortura, pratica immonda usata «non solo nei centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e di pena».
«Giustizia e carceri secondo papa Francesco», a cura di Patrizio Gonnella e Marco Ruotolo. Ed. Jaca Book, pp. 188, euro 14