Con una sentenza che rovescia il precedente pronunciamento del giudice del lavoro di Nola, la Corte d’Appello del tribunale di Napoli ha dichiarando illegittimo il licenziamento dei cinque operai cassintegrati della Fiat di Pomigliano che il 5 giugno 2014 misero in scena l’impiccagione di un fantoccio raffigurante Sergio Marchionne davanti ai cancelli del centro logistico di Nola.
Solo tre giorni prima si era suicidata l’operaia cassintegrata Maria Baratto squarciandosi il ventre con un coltello, e tre mesi prima Giuseppe De Crescenzo, in cassa integrazione da 5 anni, era stato trovato impiccato nella sua abitazione. Questa volta però a suicidarsi non erano i compagni, era l’amministratore delegato: un suicidio per pentimento, una resipiscenza per aver causato, con le politiche aziendali di confinamento nel centro logistico di Nola, una sofferenza tale da condurre alle due tragedie e a numerosi tentativi di suicidio.

A questa protesta la Fiat aveva reagito con il licenziamento, accusando gli operai di «un’intollerabile incitamento alla violenza» e di «una palese violazione dei più elementari doveri discendenti dal rapporto di lavoro», provocando «gravissimo nocumento morale all’azienda e al suo vertice societario».

La sentenza del giudice del lavoro di Nola aveva completamente assunto le ragioni dell’azienda e sembravano esserci davvero poche speranze per i cinque. Attorno a loro e all’avvocato Pino Marziale l’indifferenza ha cominciato a diradarsi solo grazie a un fronte inaspettato di solidarietà fatto da intellettuali, scrittori, artisti, giuristi, attivisti per i diritti umani: Luigi De Magistris, Lorenza Carlassare, Paolo Maddalena, Erri De Luca, Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Valeria Parrella, Francesca Fornario, Marco Revelli, Guido Viale, Marco Travaglio, Ascanio Celestini e molti altri ancora.
Con loro, ieri abbiamo rivolto una lettera aperta ai giudici chiedendo di ascoltare la verità che risuonava nel grido lanciato dai cinque davanti ai cancelli della Fiat. Un grido «contro la precarietà, l’abbandono, il disperato senso di ingiustizia che aveva condotto al suicidio i loro compagni: cassintegrati senza prospettiva di rientro, dimenticati dall’azienda, dai media e dal mondo – persino nel momento della loro morte, resa vana, muta, priva di senso. Quel grido è costato loro il lavoro, la possibilità di sopravvivenza e cittadinanza, ovvero ciò che la nostra Costituzione mette a base del suo primo articolo: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. I giudici hanno il potere di giudicare, discernere ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. Hanno il potere di interpretare le leggi che sono fatte per gli uomini, ciascuno dei quali ha identico peso. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, afferma l’articolo 21 della nostra Costituzione. Per questo siamo con i cinque cassintegrati licenziati di Pomigliano nell’attesa della sentenza, chiedendo che non venga meno la funzione di bilanciamento dello squilibrio costitutivo del rapporto di forza fra imprenditore e dipendente che è stato proprio del diritto del lavoro fin dal dopoguerra. Perché – continuava la lettera aperta – se un operaio deve aver paura di esprimere la propria opinione critica nei confronti del datore di lavoro, o di fare un picchetto davanti a una fabbrica, tutti noi saremo più servi».

I giudici di Napoli hanno detto che un operaio è un cittadino, e che non deve temere di essere licenziato se esercita il diritto ad avere un’opinione contraria. Mimmo Mignano e gli altri quattro licenziati hanno combattuto non solo contro un enorme potere aziendale ma contro la nostra rassegnazione, contro il nostro assentire a un racconto che oscura la realtà – come quello della scomparsa della classe operaia – con la determinazione di chi ha subito un’ingiustizia e a quella vuole riparazione. Un insegnamento, per quella che chiamiamo sinistra, che ha dimenticato i reparti confino, i suicidi dei cassintegrati, la violenza connessa alla perdita del lavoro e della sua dignità voluta dai padri costituenti.