Di questi tempi in cui la cultura subisce tagli annichilenti ovunque e la storia serve per fare i biopic o del revisionismo scandalistico ma non per interpretare la realtà, un personaggio come Naum Kleiman, la cui cacciata dalla cineteca moscovita è stata contrastata da una mobilitazione internazionale davvero corale, spiazza e converte anche gli scettici con la sua fiducia incrollabile nel cinema.

Onorato alle Giornate del Cinema Muto come Jonathan Dennis Memorial Lecturer, il direttore dell’(ex?) Musei Kino di Mosca -78 anni ben portati – parla sia attraverso il documentario Cinema: a Public Affair di Tatiana Brandrup, sia attraverso un’appassionata conversazione/orazione, in cui ribadisce il ruolo che attribuisce al cinema come forza attiva nella sfera pubblica. Per Kleiman infatti il museo non è un cimitero di opere morte ma l’Ufficio Pesi e Misure, dove si mostra, analizza e discute il buon cinema, contro quei sistemi che invece ergono muri. Echi del presente non sono certo involontari, visto che Kleiman scoprì la Settima Arte da piccolo, profugo di guerra in Uzbekistan, lontano dai raid aerei tedeschi che lo avevano terrorizzato in Moldovia, catapultato nel magico e colorato mondo de Il ladro di Bagdad, film che gli inglesi avevano donato ai russi quando erano ancora alleati.

Da studente di cinema si era occupato della catalogazione dei materiali di Eisenstein, di cui è uno dei massimi esperti e discepoli, al punto di spiegare la relazione dello spettatore tra emozioni e logica, come nelle pagine del famoso regista. Durante la Perestroika le sue attività di studio e conservazione archivistica danno vita al Musei Kino, inaugurato con la proiezione de Il grande dittatore di Chaplin. (Nel celebrare l’anniversario del museo, riproponendo lo stesso film, il co-direttore Maxim Pavlov non manca di scherzare su chi possa essere questo dittatore, in piena era Putin.)                                                                                                                                                                    

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Il museo, che conservava film, oggetti, costumi, documenti, cresceva rapidamente, al punto che si rende necessario ospitarlo nei locali del Kinocenter, dai quali però viene improvvisamente sfrattato nel 2005, con le pellicole gettate in strada, alcune persino sepolte dove ora sorge un grattacielo, e recuperate a stento dai fedeli collaboratori di Kleiman, e messe in salvo ora al Mosfilm. Antagonista dichiarato del Musei è Nikita Mikhalkov, regista di antico lignaggio russo, che in un’intervista nega le responsabilità, ma non nasconde intenzioni e pregiudizi.

Con un aforisma illuminante, Kleiman nota che la storia russa non si muove come un fiume ma procede a salti come una rana, e a volte va anche a ritroso. Le proiezioni – che per Kleiman sono la mission cruciale della conservazione del patrimonio filmico – sono diventate se non clandestine quantomeno improvvisate, utilizzando i cinema moscoviti che si rendono disponibili. Kleiman poi è stato promosso/rimosso, ovvero sostituito alla direzione da persona «incompetente e non etica», il che ha provocato le dimissioni in massa dello staff. Con la chiusura del Kinocenter il discorso sembrava chiuso e Putin aver vinto la sua battaglia anti-cinema, ma la mobilitazione internazionale e la fedeltà dei collaboratori hanno evitato mali peggiori, per quanto si osserva che questa epoca «disgustosa» non è comunque «spaventosa» come quella staliniana.

Kleiman e i suoi (tra i quali si annovera il regista Andrey Tvyaginstev, autore di Leviathan – film ora vietato in Russia per via di una legge che proibisce le bestemmie nei film) non hanno rinunciato al loro lavoro culturale, nel nome di Godard (che ha regalato al museo un sistema Dolby), Antonioni, Ozu, Bergman ma soprattutto di Eisenstein (di cui si è appena visto alle giornate un bel restauro di Ottobre).
Oltre alle proiezioni selvagge in giro per la città ora è nato un accordo col museo Puskin per organizzare rassegne che colleghino il cinema alle arti. Quindi «film nel film», oppure l’uso della luce a partire da Caravaggio per arrivare a Storaro, cercando soprattutto di salvare il fondo Eisenstein. A breve per esempio ci sarà una proiezione di The Death of a Tea Master per accompagnare una mostra di antiche tazze da tè giapponesi.

Quello che sta a cuore a Kleiman non è la conservazione in sé ma una distribuzione che faccia circolare il buon cinema, vaccinando le nuove generazioni e un pubblico impigrito contro l’omologazione dei film commerciali (osserva, per esempio, come oggi non vengano distribuiti in Russia film italiani.)
A questo proposito riporta un progetto lanciato da Istvan Szabo, che sembrava essere stato accolto dalle autorità europee, per una distribuzione alternativa di quel cinema che non trova spazio in sala, supportata con un prelievo delle tasse sui biglietti, il che consentirebbe l’educazione dei giovani alle buone visioni. Ma il progetto è rimasto lettera morta, mentre a tutti sembrano interessare soltanto i prodotti che incassano bene, non i film.