Un clamoroso rapporto della Cia conferma che la Russia di Putin ha interferito nella campagna elettorale americana per favorire la vittoria di Donald Trump. Erano già emersi elementi che implicavano ambienti vicini all’intelligence russa nell’hackeraggio dei server del comitato centrale democratico risultato nella disseminazione di email provenienti dall’account del direttore della campagna Clinton, John Podesta.

L’ULTIMO RAPPORTO esprime «il consenso dell’intelligence che l’intento russo fu di favorire un candidato rispetto all’altro» confermando che l’operazione degli hacker era chiaramente a favore dei repubblicani. Lo confermerebbe il fatto che i russi si sarebbero insinuati anche nei computer del Gop, senza però rilasciare in quel caso alcun documento compromettente. La notizia anticipa il rapporto comprensivo sull’interferenza russa che Obama ha chiesto venga completato prima dell’insediamento del nuovo presidente.

LA RISPOSTA DEL COMITATO di transizione di Trump ha avuto toni derisori: «Questi sono gli stessi che sostennero che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa», si legge nella nota. Durante l’ultima amministrazione repubblicana, quella di George W. Bush, la Cia subì forti pressioni dal segretario della difesa Donald Rumsfeld e dal vicepresidente Cheney per «confermare» presunte armi chimiche e nucleari irachene. La pubblica diatriba fra intelligence e neo presidente prima ancora dell’insediamento non ha precedenti, constatazione che di per sé non fa più notizia nell’incipiente era Trump, sovversiva per definizione delle regole acquisite della politica. Nell’universo capovolto dell America trumpista si susseguono gli inediti paradossi.

Negli ultimi tweet diramati da Trump il presidente in pectore ha difeso la decisione di restare produttore esecutivo del suo programma, The Apprentice, spiegando agli Americani che produrre il reality condotto da Arnold Scwharzenegger non lo distoglierà eccessivamente dagli affari di stato. Molti altri hanno trovato singolari gli incontri avuti dal neo eletto con celebrità ambientaliste come Al Gore e Leonardo DiCaprio. L’apparente intento sarebbe stato di influenzare le vedute di Trump in materia di tutela ambientale. Sorge però legittimo il sospetto che gli incontri celebrity, come le polemiche via Twitter, distolgano soprattutto dalle più inquietanti ed effettive indicazioni di policy rispecchiate nelle scelte di ministri.

SEMPRE IN TEMA AMBIENTALE, dopo la nomina del militante anti-norme ambientali Scott Pruitt all’ente preposto alle norme ambientali (EPA), la squadra di Trump ha diffuso un «questionario» al ministero per l’energia in cui vengono richiesti i nomi degli impiegati che abbiano partecipato negli ultimi cinque anni a conferenze ambientali. Un sinistro anticipo delle plausibili liste di proscrizione. Sul proprio sito l’associazione «pro capitalismo e anti-governo» ha lanciato un elenco per «smascherare e documentare professori che promuovono ideologia di sinistra nelle aule universitarie».
Un altro tassello nella rottamazione, non solo delle politiche obamiane ma, come ha scritto Pankaj Mishra sul Guardian, della stessa tradizione illuminista di razionalismo liberale antitetica al trumpismo.