E così, in una mattina di sole invernale, inizia il processo alle parole dello scrittore. Avrebbe, secondo la Procura di Torino, istigato a delinquere. Colpevole di aver detto, in un’intervista all’Huffington Post, che il Tav, una grande opera contestata fin dalle origini dalla popolazione valsusina, «va sabotata».

Corre l’anno 2015, anche se non sembrerebbe dal carattere dell’accusa che rispolvera il «reato di opinione». E lo scrittore è, ovviamente, Erri De Luca, che ieri si è presentato in anticipo nell’aula del Tribunale di Torino, per la prima udienza del suo processo. A porte aperte, apertissime; il rito abbreviato, che aveva rifiutato durante l’udienza preliminare, le avrebbe, invece, avute chiuse. Un processo alla parola deve essere pubblico, di questo n’è sempre stato convinto.

E fuori e dentro il Palagiustizia sono venuti in tanti – attivisti No Tav, lettori, cittadini comuni – a esprimere vicinanza al grande autore napoletano. Hanno distribuito gratuitamente le copie di La parola contraria, il libro appena pubblicato da Feltrinelli e uscito in contemporanea in Francia, Germania, Spagna, Paesi dove il processo a De Luca sta suscitando scalpore. Il pamphlet, letto collettivamente fuori dal Tribunale, rivendica «il diritto a esprimere la propria opinione anche quando è contraria, non solo quando è ossequiosa e gradita». In aula, il folto pubblico ha esposto cartelli con la scritta «Je suis Errí» (parafrasando lo slogan coniato dopo la strage a Charlie Hebdo) che il giudice Immacolata Iadeluca ha fatto abbassare prima dell’avvio dell’udienza. De Luca ha, comunque, subito escluso ogni possibile equiparazione fra il suo processo e «il massacro» alla redazione del periodico satirico parigino.

«Sento la responsabilità delle cose che dico e scrivo. Sono uno scrittore, non penso di poter istigare nessuno se non alla lettura e alla scrittura», ha detto Erri De Luca prima dell’inizio del dibattimento. «Sono qui anche per conoscere le persone, nomi e cognomi, che avrei istigato, come sostiene l’accusa, e che cosa hanno fatto spinti dalle mie parole». Ha rivendicato la sua opinione sul Tav e le parole usate per esprimerla: «Sabotare per me è un verbo nobile, utilizzato anche da Gandhi, che va oltre allo scassare attrezzature. Il suo significato è molto più vasto e non intendo farmelo sottrarre. Nell’autunno del 1980 ho partecipato alla lotta operaia e sono stato per 37 giorni davanti alla Fiat partecipando a quel grande sabotaggio. Non è certo necessario fare un reato per sabotare».

La Procura difende il proprio operato. «Abbiamo il dovere di verificare se certi casi debbano essere sottoposti al vaglio di un giudice. E in questo caso riteniamo di sì», ha spiegato il pm Andrea Beconi nel suo intervento. «Il reato di istigazione a delinquere è discutibile e si presta a strumentalizzazioni, ma nell’ordinamento esiste e dobbiamo farci i conti. Qui – chiarisce Beconi – non si sta cercando di comprimere un diritto fondamentale come la libertà di manifestare il proprio pensiero. E nemmeno di entrare nella diatriba sul Tav».

La giudice Iadeluca ha respinto la richiesta della Procura di fare testimoniare l’architetto Mario Virano, presidente dell’Osservatorio sulla Torino-Lione, una decisione accolta con favore dalla difesa dello scrittore. «Diversamente – ha detto l’avvocato Gianluca Vitale – questo sarebbe diventato un processo contro l’intero movimento No Tav e con un’apologia del Tav». Da ora in poi sarà un processo sulle frasi pronunciate dallo scrittore. «Continuo a pensare – ha aggiunto De Luca – che il Tav vada sabotato, ma sono convinto che si saboterà da solo perché non ci sono i soldi per costruirlo. Il buco del Tav sarà un “buco interrotto”, un “bucus interruptus”».

Il processo, che vede sul banco degli imputati per istigazione a delinquere solo Erri De Luca, è stato rinviato al 16 marzo. «Se sarò condannato non farò ricorso. Quello che ho da dire è quello che ho già detto». Poi, ha aggiunto: «Uno scrittore – ha aggiunto – deve difendere le sue opinioni, che in questo caso per me sono poi diventate convinzioni. Cosa altro deve fare se non difenderle?». L’autore si è allontanato dall’aula del Palagiustizia circondato da fotografi e giornalisti, italiani e stranieri, e fra gli applausi del pubblico. Rispondendo ai cronisti sul peso delle parole dette da uno scrittore, De Luca ha, inoltre, sottolineato: «Quello che riconoscono a me perché non lo riconoscono a Bossi o Berlusconi? Io sono uno e valgo uno, non ho un partito».

A margine del processo si è ancora espresso sulla battaglia No Tav. «Cosa c’è di più democratico e civile di oltre di 20 anni di lotta alla Tav? Lotta che continua civilmente». E sulle 47 condanne inflitte, martedì, ad altrettanti militanti, ha affermato: «Non hanno voluto applicare le attenuanti, è una cosa grave che mi colpisce molto».