È uno dei convitati di pietra del vietnam di Palazzo Madama, il grumo attorno a cui si accumula un dissenso trasversale e anche futuro, ben al di là – almeno sulla carta – del fronte che in queste ore combatte la sua guerra di guerriglia al senato. Per questo l’Italicum, il core business del patto del Nazareno, il testo già votato a naso turato dai deputati Pd, potrebbe essere la chiave per sciogliere il grosso delle ostilità contro le riforme costituzionali.

Il presidente Napolitano lo sa bene tant’è che martedì scorso, durante la cerimonia del Ventaglio, ha aggiunto al suo appello per le riforme un passaggio su misura per far breccia nelle forze che si oppongono al nuovo senato. La riforma elettorale, ha detto ai cronisti parlamentari, arriverà subito dopo quella del senato «sulla base del testo varato in prima lettura dalla Camera ma destinato ad essere ridiscusso con la massima attenzione per criteri ispiratori e verifiche di costituzionalità che possono indurre a concordare significative modifiche. E più in generale», ha aggiunto e sottolineato, «si imporrà una riconsiderazione – che io mi permetto di auspicare sia condotta con adeguata visione d’insieme, con coerenza e rigore – dello stato e delle esigenze di messa a punto e rafforzamento del sistema delle garanzie costituzionali».

Un passaggio delicato, all’indirizzo dei ’ribelli’ del senato che da Forza Italia a Sel passando per i 5 stelle parlano proprio di «garanzie» e di «combinato disposto» fra riforma del senato e legge elettorale che provoca «una restrizione degli spazi di democrazia» (Sel) o «una svolta autoritaria» (M5S). Ma quello di Napolitano è anche un parlare a nuora perché suocera intenda. Ovvero Renzi e Berlusconi, i due partner del patto del Nazareno: l’Italicum così non s’ha da fare.

Del resto di modifiche all’Italicum nel Pd si parla da settimane: alzare la soglia per il premio di maggioranza dal 37 al 40 per cento e unificare le soglie di sbarramento al 4 per i partiti dentro e fuori le coalizioni. La prima modifica non dispiace all’ex Cavaliere; sulla seconda non è ancora caduto il veto, ma è uno dei nodi per provare a ricucire i rapporti con l’Ndc di Alfano, che ha acciuffato il 4,4 per cento.

A casa Pd la minoranza riformista, defilata sulle riforme ora al senato, ha spiegato in tutte le salse che sarà lì che darà battaglia. L’ex segretario Bersani, dalla sua posizione di ’padre nobile’ e non di capobanda, il 3 luglio è salito al Colle e ne ha spiegato le ragioni a Napolitano. Ora il presidente ha dato un’indicazione – «sul piano delle verifiche della costituzionalità» che gli è proprio – da cui non si può prescindere. E le indicazioni del presidente «vanno sempre ascoltate perché frutto della sua grande saggezza», dice Matteo Orfini. Un commento meno formale di come suona: che il giovane turco, presidente del Pd, in questo periodo si consulta spesso con Renzi.

«Un’indicazione importante, per allentare la tensione del senato», spiega il bersaniano Stefano Fassina, «e anche un riconoscimento alla bontà delle nostre ragioni. Ora però sarebbe risolutiva una parola di Renzi. Ma modificare le soglie non basta, bisogna superare le liste bloccate». «L’Italicum va cambiato in alcuni punti qualificanti», ragiona il senatore Miguel Gotor; che elenca: soglie, «non si può escludere una forza che ha preso il 7,9 per cento»; «no alle liste bloccate, del resto è la posizione di sempre del Pd, non c’è nessun atto pubblico in cui non l’abbiamo detto»; e infine «no alle liste civetta, e cioè quelle liste finte che non raggiungono lo sbarramento, servono a drenare voti e consegnarli al partito principale della coalizione senza ricevere seggio: cosa avranno in cambio? È un meccanismo che alimenta la corruzione».

I grillini puntano dritti alle preferenze e sfideranno Renzi «direttamente in aula». Per l’Ndc sono una necessità per raccogliere l’elettorato concentrato in alcuni collegi. Ma sulle preferenze c’è ancora il veto forzista. La mediazione potrebbero essere solo i capolista bloccati.
Per ora comunque il segnale è che se al senato passa la riforma, l’Italicum potrà essere rimaneggiato e di molto. Cesare Damiano, area riformista Pd, lo dice apertamente: Renzi può portare a casa il nuovo senato «se si fa promotore di un accordo che comprenda anche l’Italicum. Se i rappresentanti del senato vengono nominati, i deputati debbono essere eletti dai cittadini con le preferenze o con il collegio uninominale. Una scelta di democrazia» e anche «la chiave un accordo generale che porti a compimento le riforme». Un discorso che filerebbe anche Sel, che ha scaricato sul senato gran parte degli 8mila emendamenti. Ma i vendoliani all’Italicum riserveranno una riflessione molto seria: anche rimaneggiato, per loro sarà lo spartiacque del futuro. Allo stato il 4 per cento è inarrivabile. E l’Italicum, anche migliorato, sancirà se esisterà o no la coalizione di centrosinistra. Per questo spiegano che «ora siamo concentrati sul senato, di Italicum parleremo poi».