Punite questo piccolo popolo ribelle, rompiscatole fin dai tempi più antichi, questi greci indisciplinati, incoscienti e irresponsabili. Non è difficile: basta non fare nulla, lasciare che la liquidità delle banche greche si esaurisca, tra oggi e domani. Dopo, pensionati e impiegati pubblici rimarranno a secco. Avranno fame, certo, ma con il sorriso sulle labbra: hanno dato un gigantesco calcio nel sedere, in diretta mondovisione, al peggio dell’euroliberismo e ai suoi maggiordomi. Completamente indifferenti alle minacce, ai ricatti, alla propaganda e alla meschinità di un certo Renzi.

I greci, primi tra tutti e, per il momento, tragicamente soli. C’è da essere orgogliosi.

Come risponderà l’eurozona, cioè la Germania, a questa ennesima sfida? E’ questa la domanda da cui dipende il futuro dell’Unione europea.

Non è un’esagerazione: a giudicare dalle prime reazioni, nel governo tedesco c’è chi considera seriamente l’ipotesi di farla finita una volta per tutte con il caso greco. Schauble lo dice apertamente: la Grecia si sta trasformando in focolaio d’infezione e le elezioni in Spagna si stanno avvicinando. Meglio un taglio netto, che sia di ammonimento. Dove per taglio netto si intende lo strangolamento finanziario immediato, a meno che ad Atene non si imponga un cambiamento teleguidato di governo, insieme con una pubblica umiliazione della sinistra anti austerità, in modo da farle perdere la grande influenza che continua a mantenere presso l’elettorato.

Se sarà questa la linea prevalente a Berlino, saremo di fronte a una svolta epocale nel processo di unificazione europea.

E’ diverso scontrarsi, anche duramente, con un governo e le sue scelte, con, invece, il totale disconoscimento dei risultati di un referendum. Rischiamo di essere testimoni di un’inedita offensiva di guerra economica, accompagnata dalla solita campagna mediatica, non più contro un governo «irresponsabile» e «comunista» ma contro tutta la popolazione che si è schierata al suo fianco. Non si dica che queste cose non possono succedere: la destra tedesca ha una certa esperienza in questo campo. Ma il prezzo da pagare sarà quello di gettare alle ortiche i famosi principi fondativi dell’Unione europea, in un momento in cui il processo di unificazione è già oggetto di dure contestazioni.

Può reggere l’Europa un comportamento verso la Grecia come se fosse una provincia ribelle del grande impero nordico? Alla fine Schauble e i suoi amici banchieri rischiano di trovarsi tra le mani non più un’eurozona «più forte e più omogenea», ma le rovine fumanti della seconda guerra mondiale.

Lunedì mattina Tsipras non ha solo incassato la soddisfazione di aver vinto la scommessa azzardata del referendum. Ha anche ricevuto un’importante lezione: i creditori non scherzano, giocano pesante e sono pronti allo scontro, anche a rischio di far saltare l’eurozona. Far svolgere la competizione elettorale in condizioni di asfissia finanziaria è stato un avvertimento. Quindi non sono più ammissibili da parte del premier confessioni pubbliche di ingenuità, i famosi «mai avrei immaginato», con cui ha finora reagito dopo ogni colpo sotto la cinghia.

Per questo il premier greco ha voluto muoversi velocemente: ha riunito il consiglio dei leader di tutti i partiti parlamentari, con l’autoesclusione di Alba Dorata e con un nuovo capo di Nuova Democrazia, al posto dell’estremista Samaras. Con il loro sostegno, ha «sostituito» con il suo consenso Varoufakis con un nuovo ministro delle Finanze, perché sia più gradito in Europa.

L’obiettivo è che nel nuovo negoziato la Grecia sia presente in tutte le sue componenti politiche, senza quinte colonne. La richiesta sarà di rispettare la volontà del popolo greco: rimanere nell’eurozona, ma in condizioni di sviluppo sostenibile, senza misure recessive e senza il peso soffocante del debito.

Una volta, nella vecchia Unione europea, queste sarebbero richieste ovvie. Ora, nella nuova Unione europea, bisogna fare referendum solo per farsi sentire.