Il 30 ottobre 2014 si è festeggiato il centenario della nascita del rinomato editore americano James Laughlin, il cui cognome si pronuncia Loklin. Pare che negli USA sia più diffusa la pronuncia Loflin, nome delle grandi acciaierie di Pittsburgh di famiglia. Ma quando Laughlin ventenne andò a Parigi a trovare James Joyce, questi gli spiegò qual era la pronuncia giusta del nome che ignaro portava. Infatti il nonno era un povero immigrato irlandese protestante che fece fortuna nell’industria pesante durante la Guerra civile.

Laughlin è figura ragguardevole per la casa editrice da lui fondata a ventidue anni su input di Ezra Pound, New Directions, che da allora ha pubblicato il meglio delle avanguardie o della letteratura seria e divertente, da Henry Miller a Nabokov, da Lorca a Montale a Tennessee Williams, da Neruda e Vittorini a Ferlinghetti, Denise Levertov e Gregory Corso. (Fra gli ultimi successi un libro di manoscritti e trascrizioni da Emily Dickinson, The Gorgeous Nothings). Laughlin è infatti morto nel 1997, ma New Directions continua la sua missione anche grazie al suo lascito, e compie tuttora scelte originali e premiate.

Per questo centenario, importante per l’editoria novecentesca e la promozione di alcuni grandi dello scorso secolo, New Directions ha raccolto in un massiccio volume tutte le poesie che Laughlin trovò il tempo di scrivere fra i suoi mille impegni e grattacapi. Si intitola The Collected Poems of James Laughlin ed è accuratamente editato da Peter Glassgold, conta 1214 pagine e costa solo $ 49.95 nell’edizione hardback. Sulla fascetta una foto del bellissimo giovane James («J» per gli amici) che dalla porta del suo studio di Norfolk nel Connecticut contempla un paesaggio di betulle quasi giapponese.

Questo libro monumentale è tanto più curioso in quanto J è un poeta programmaticamente leggero, che scrive rapidi e divertiti schizzi, o ritratti di amici e amiche (tante). (Anche un’incompiuta autobiografia in versi, Byways, edita separatamente). I poeti laureati storcono il naso davanti a tanta disinvoltura: è di questi giorni una stroncatura del New York Times sia dei Collected Poems, una vita di poesie, sia della biografia apparsa contestualmente per opera di Ian MacNiven: «Literchoor Is My Beat» (cioè «la letteratura è il mio mestiere» in ironica trascrizione fonetica) A Life of James Laughlin, Publisher of New Directions (FSG, pp. 584, $ 37.50). Lo stroncatore ricorda che proprio il NYT fu dileggiato da J nella poesia «Il mio giornale preferito», che sta a pagina 164 dei Collected Poems, dunque almeno fino a lì sarà arrivato (che per un libro di poesie è già molto).

Qui J scriveva: «Il mio giornale preferito / è sempre aggiornato sarà / che hanno un computer program- // mato per scegliere i recensori / come quelli che usano per il servizio anime // gemelle (sei un single stra- / ordinario che cerca una single egual- // mente straordinaria?) malauguratamente nel mio / caso c’è stato un inghippo il computer // deve aver sbagliato a scrivere il mio nome / e mi è toccato l’esperto di insalate a basso tasso di // colesterolo vabbè andrà meglio / la prossima volta forse Rupert Mur- // doch ha una macchina più intelligente che / mi farà una sviolinata sul Washington Post».

Si può capire perché queste prese in giro infastidiscono il piccolo mondo serioso dei poeti «veri» o accademici che perlopiù si leggono solo a vicenda. Visto che nella poesia in ogni secolo quel che conta è ben poco, un poeta leggero come Laughlin che registra con accuratezza e spirito umori e persone è un testimone prezioso. E leggibile. Come si vede dalla citazione gli piace andare a capo scherzosamente in mezzo alle parole creando una tensione fra metro e sintassi. In realtà poi non di rado tocca corde tutt’altro che frivole, come in una conversazione fra veri amici in cui a un tratto si apre un moto commosso. Se ci divertiamo poi siamo più esposti alla partecipazione, e nelle sue raccolte si passa dall’annotazione piccante alla tenerezza alla perdita, all’affresco autobiografico: «Quando lui passa la porta aperta / può vedere che non c’è più // nessuno nella stanza nessuno / è coricato nel letto e nessuno più // assiste la figura re- / clina…». Questo a proposito della moglie Ann, morta nel 1989. (Cito dall’antologia di Laughlin da me curata per Guanda nel 2012, Una lunga notte di sogni. Poesie 1945-1997.)

È interessante confrontare questa registrazione asciutta eppure coinvolgente con le belle e complesse elegie per la madre dell’ultimo libro dell’inglese Carol Ann Duffy, Le api: tipicamente oltreatlantico grazie alla lezione modernista prevale un certo rigore e in fondo la semplicità. Oltre a Pound per l’impulso e il vortice inarrestabile, Laughlin fu influenzato dal poeta medico William Carlos Williams, in Italia fortunamente tradotto da Sereni e Campo, che appunto insisteva sulla nitidezza della lingua americana (tradita a volte dai poeti accademici americani e da quelli di ascendenza inglese come Walcott).

Grande amico e sostenitore di J fu anche l’altro e più celebre Williams, Tennessee, uno dei non molti autori con cui guadagnò qualcosa e che gli rimase caparbiamente fedele. Eccolo in un aneddoto («Il salvataggio», ancora da Una lunga notte di sogni): «Da New Orleans Tenn mi scrisse una lettera / straordinariamente buffa. Era inseguito senza tregua / da una bella ragazza. Gli stava rovinando / lo stile: potevo togliergliela dalla schiena? Una ragazza / molto sexy: in breve stese me sulla schiena».

Tutte queste vicende di letteratura, editoria, poesia, amori e disamori sono ricostruite efficacemente da Ian MacNiven nella biografia Literchoor Is My Beat uscita appunto per il centenario di J presso la Farrar Straus di Jonathan Galassi. Leggerla è attraversare un secolo di cultura e costume americano insieme ad alcuni personaggi fondamentali e sulle orme di Laughlin, sempre indaffarato, sempre impegnato, sempre disponibile. Già solo il suo rapporto quasi filiale con Pound (il vero padre rimane un po’ assente, spesso ricoverato per depressione) riempirebbe volumi ed è trattato con giusta simpatia e distacco: ché poi J divenne un po’, come capita, padre del padre Ezra, quando gli toccò dare una mano a sbrogliare gli infiniti pasticci in cui quel cacciatore di guai si metteva.
Altri suoi autori come Thomas Merton, Kenneth Patchen, Delmore Schwartz hanno ciascuno i suoi cultori e fanno parte del cast stellare di questa biografia ben scritta. E Gregory Corso? C’era una porta segreta da cui fuggire dall’ufficio quando si presentava a chiedere anticipi per libri mai consegnati. E Dylan Thomas? Celebre il racconto in versi (lo si trova in Una lunga notte di sogni) di come a J toccò l’ingrato compito di riconoscerne il cadavere all’obitorio e di spiegare alla ragazza addetta allo schedario cosa voleva dire che quel corpaccione disastrato era appartenuto a un «poeta».

Poeta è senza dubbio chi ci regala una vignetta insieme tenera e surreale, immediatamente gustabile, come fa Laughlin in «Sciare a Tahiti» (era anche sciatore provetto): “Certo che si può sciare a Tahiti / si può fare quasi tutto nei // sogni le ragazze con / solo addosso una foglia // di banyan scendono in slalom / per la spiaggia in perfetto stile // Gauguin ha piantato il suo / cavalletto e sta disegnando // furiosamente prima che la neve / si sciolga il nome del // quadro famoso esposto al Musée d’Orsay è // Muna ta Laguna ovvio / che si può sciare a Tahiti».