Mi è capitato più volte di sostenere che la critica tematica ha basi teoriche abbastanza fragili, nonostante ci siano stati tentativi di trasformarla in un metodo rigoroso e scientifico (soprattutto da semiotici e storici della cultura come Lotman, Shcheglov e Ziolkowski). La sua forza, secondo me, sta nella sua stessa fragilità, e nell’essere una libera avventura fra i testi, nel dipendere da una scelta soggettiva, quasi arbitraria, del tema da indagare. Quando funziona bene, producendo un lavoro interessante e chiarificatore, nasce da una felice intuizione, a volte addirittura da una scelta casuale.

In una situazione così labile e incerta è tanto più importante che il tema abbia una sua ampiezza e densità semantica, profonde radici culturali e anche una possibilità di incarnarsi in procedimenti e forme nuove e sorprendenti. È quanto accade, per fare due esempi non troppo lontani nel tempo, in Feticci di Massimo Fusillo (il Mulino) grazie ai molti collegamenti che il tema ha con l’antropologia, le rappresentazioni simboliche, il mondo delle merci e le pratiche della riproduzione visiva, della messa in scena, dell’installazione; e in Il paradosso di Proteo. Storia di una rappresentazione culturale da Omero al postumano (Carocci) di Attilio Scuderi, che ricostruisce la fitta rete metamorfica della figura del vecchio dio marino, approdato in terra egiziana dalle profondità arcaiche e preolimpiche del mito, e ricomparso, proteiforme, con una presenza costante, quasi ossessiva e perturbante, in tutta la letteratura mondiale a partire dalle prime rappresentazioni in Omero via via fino a Joyce, Barth, Borges, allo Zelig di Woody Allen e all’illusionismo dei Momix.

L’ultimo esempio di critica tematica che l’editoria italiana ha mandato in libreria è lo splendido, dottissimo libro, che Piero Boitani ha dedicato al tema dell’agnizione, o riconoscimento, Riconoscere è un dio Scene e temi del riconoscimento nella letteratura (Einaudi, pp. 474, 34,00). Se Romano Luperini, qualche anno fa, anche lui con un bel libro di critica tematica L’incontro e il caso. Narrazioni moderne e destino dell’uomo occidentale (Laterza) aveva dedicato un’indagine a largo raggio, intensamente pensata, a quello che era, più che un tema, una situazione della vita quotidiana e un pretesto di tante trame narrative (incontri casuali, incontri fatali con il destino), Boitani fa una scelta che va molto più a fondo: gli incontri di cui parla comportano nei protagonisti delle storie che racconta coinvolgimenti e tensioni profonde, con forti implicazioni psicologiche e conoscitive e radici mitiche e arcaiche forse anche più perturbanti di quelle di Proteo, pure lui oggetto di un incontro e un riconoscimento, dai risvolti drammatici e comici, da parte di Menelao (questa storia non fa parte di quelle prese in esame da Boitani, anche se le peregrinazioni di Menelao, dopo la caduta di Troia, e le sue avventure in Egitto sono simili a quelle di Ulisse, studiatissime da Boitani).

Come sia giunto a scegliere questo tema, così radicato nelle situazioni più drammatiche dell’avventura e della conoscenza umana, ce lo racconta lo stesso Boitani. Il libro, scrive, «è nato trent’anni fa e ha una storia fatta di peripezie e riconoscimenti come tutte le epopee, le commedie e i romanzi che si rispettino. Ricordo benissimo l’esultanza che provai nell’aver scoperto – mi trovavo a Cambridge, all’epoca – questo tema, il quale si poteva prestare, con il titolo di Anagnorisis (agnizione, in greco), a una trattazione simile a quella dedicata da Auerbach all’imitazione della realtà, Mimesis, nella letteratura. C’era un senso di improvvisa rivelazione e un desiderio di scavo febbrile tra i libri, a teatro, nell’opera, al cinema».

Per fortuna Boitani ha solo interrotto e rinviato, o anticipato qua e là, la sua ricerca nei trent’anni trascorsi dalla prima formulazione del progetto. Ha lavorato a lungo sul mito di Ulisse, su Shakespeare, su Dante, su Omero, sulla Bibbia; si è lasciato trasportare dalle parole alate in Voli nella poesia e nella storia da Omero all’11 settembre, si è perso, con lo sguardo di Galileo e di Leopardi, nella contemplazione della volta celeste, fra zodiaci, mappamondi e cosmografie nel Grande racconto delle stelle; ma poi è tornato al tema di Cambridge e ha finalmente prodotto questo ricchissimo libro, che è in realtà la summa di una ricerca e di una vita.

Colpisce il fatto che l’autore, non diversamente da quanto Auerbach aveva fatto a suo tempo, scrivendo Mimesis nell’esilio di Istanbul, ha spaziato su tutta la letteratura della tradizione occidentale, cominciando proprio, come Auerbach, dalla Bibbia e da Omero. Per la Bibbia, già da Auerbach considerata come grande racconto immaginario, letteratura quindi e non libro di teologia, Boitani ha potuto farsi forte della tendenza, ormai diffusa fra gli studiosi, di applicare all’interpretazione del testo i metodi della filologia, della critica letteraria e della narratologia (sulle orme di Northrop Frye, Robert Alter e Frank Kermode). Ma ancora di più colpisce il fatto che l’uno dopo l’altro vengano presi in esame grandissimi e studiatissimi testi di quella che potremmo chiamare, riprendendo Leavis, la «grande tradizione», e che leggendo quei testi dall’angolo visuale del tema del riconoscimento, Boitani riesca a renderceli tutti in una luce nuova, a volte davvero sorprendente.

La sua indagine passa dalle tragedie greche di Eschilo, Sofocle e Euripide alla Divina Commedia, dalle Mille e una notte al Corano al Sakuntala di Kalidasa, dalle fiabe dei Grimm al Conte di Montecristo, dal Vangelo del misterioso Giovanni ai Karamazov di Dostoevskij, dal Pericle al Racconto d’inverno al Re Lear di Shakespeare, dal Messia di Klopstock al Fu Mattia Pascal di Pirandello, dal Tristano di Malory al Little Gidding di T. S. Eliot, da Hartmann von Aue a Geoffrey Chaucer e via via alle tante riscritture di cui pullula la letteratura mondiale: il Paradiso perduto di Milton, Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann, il Giobbe di Joseph Roth, il Pericle ripreso nella lirica Marina di T. S. Eliot, i tanti Edipi, le tante Elettre, i tanti alt>ri Giobbe, e così via.

Sarebbero numerosi gli esempi che confermano questa impressione di fresca rilettura e nuove interpretazioni di opere anche studiatissime, ottenute usando la chiave tematica del riconoscimento. Fra le tante che vengono in questo libro analizzate con acribia e interpretate in modo nuovo e convincente, ne scelgo una che serve a spiegare il curioso titolo del libro e va a costituire un pezzo di un grande mosaico di sondaggi, rapporti e confronti fra un grande numero di testi. È la tragedia Elena scritta da Euripide negli ultimi anni della vita, prendendo spunto dell’idea che in realtà Elena non sia mai stata a Troia, non sia mai stata rapita da Paride: non sia lei quella che i vecchi della città hanno contemplato sulle mura di Ilio, ma un fantasma, un’immagine fatta con l’aria del cielo per uno stratagemma della dea Era. La vera Elena sarebbe stata invece rapita da Ermes, nascosta in una nube e portata in Egitto, nella casa proprio del casto Proteo, il cui figlio Teoclimeno ora le dà la caccia per sposarla, come una seconda Penelope.

È lì che arriva, nel corso delle peripezie del suo nostos (ritorno in patria), il marito Menelao ed è lì che un giorno avviene l’incontro e il riconoscimento fra i due coniugi, ormai cambiati dagli anni e dalle avventure, particolarmente lui che è vestito di stracci. È Elena che riconosce il marito per prima e dopo un attimo di cecità, anche a causa dell’aspetto di lui, non ha dubbi e sussurra: «Oh dei! Perché riconoscere quelli che amiamo è un dio».