Erano Sogni/Musiche/Città lo scorso anno, Crisi/Amori/Follie quello prima. E si potrebbe continuare in questo viaggio a ritroso nelle parole che la Festa del Cinema del Reale di Specchia, nel sud del Salento, trasforma in visioni, viaggi, decentramenti, suoni, luoghi, persone. Festa che quest’anno, per l’XI/ma edizione iniziata lo scorso mercoledì e che si concluderà stasera, anzi all’alba di domani sulla terrazza di Castello Risolo come ormai da tradizione, ha scelto le parole chiave Strade/Finzioni/Magie per attraversare il cinema documentario. E sconfinare, andare oltre, anche nelle forme, con omaggi al cinema di Claude Jutra e a quello di un geniale inventore come Norman McLaren, o con Lech Kowalski, l’ospite speciale della Festa, presente con suoi Camera Gun, Breakdance Test, Drill Baby Drill e On Hitler’s Highway. Specchia e gli incontri con i tanti autori, come Vinicio Capossela, Cecilia Mangini, Elisa Amoruso, Valentina Zucco Pedicini, Giovanni Princigalli, Daniele Gaglianone, Giorgia Cecere, Costanza Quatriglio, Edoardo Winspeare, Giovanni Cioni, Giuliano Ricci, Giovanni Donfrancesco ed altri. Installazioni, workshop, performance, le mostre fotografiche di Daniele Coricciati e Pino Guidolotti, i Prossimamente, ossia «film non ancora o mai realizzati» di Filippo Cariglia e Pierpaolo Filomeno, le Case di Luce di Antonio Pappadà, la musica di Antonio Castrignanò, le tele di Sotto i cieli d’Europa di Massimo Dalla Pola, le creazioni e i linguaggi di Simone Franco, Fabrizio Bellomo, Enrico Carpinello, Francesca Marconi, Giovanna Chessa, Rossella Piccinno e Luca Coclite. Ancora, altre suggestioni, aperture.
Ideatore e direttore della Festa è il filmaker Paolo Pisanelli (fra i suoi lavori,  Roma A.D. 999, Roma A.D 000, Don Vitaliano, Ju Tarramutu, Buongiorno Taranto).
Che Festa è quella del Cinema del Reale?
La nostra è una festa di incontri, di scambi creativi, non è una competizione, tutti i nostri autori ricevono un premio. È una festa perché, anziché dalla platea in piazza, molte persone guardano i film dalla terrazza del Castello Risolo, al vento. Per noi è importante inserire il pubblico in una dimensione di piacere e condivisione. Non è il Salento che definisco «iperteso». Sono una festa le nostre Poetiche/Pratiche, in mattinata, incontri molto informali, lezioni/colazioni con i registi che hanno a disposizione 12 minuti per raccontarsi. C’è sempre qualcosa di bello che succede, come quest’anno l’amicizia immediata tra Vinicio Capossela e Lech Kowalski che poi se ne vanno al mare insieme.
Hai scelto Strade / Finzioni / Magie come parole chiave di questa edizione. Come le hai declinate nel programma?
In realtà queste parole un po’ le sogno e, insieme, sono il frutto delle associazioni che si formano in maniera libera, irregolare, tra i film che vedo. Ho visto, ad esempio, Tir di Alberto Fasulo e Sacro GRA di Francesco Rosi, due opere che hanno un’impalcatura di finzione consistente e che, a dispetto del titolo, non sono film on the road, non nel senso tradizionale. A proposito del Grande raccordo anulare, quest’anno abbiamo portato alla Festa G.R.A., un corto piuttosto difficile da trovare, realizzato nel 1965 da una grande amica, Cecilia Mangini, su commissione dell’Anas. Anche Kowalski va nelle strade e filma. I suoi film sono visioni, che l’Italia, un paese analfabeta per quel che concerne il cinema e l’audiovisivo, rifiuta. Quello che tentiamo di fare con la Festa del Cinema del Reale, allora, è divulgare certe pratiche del cinema, più sotterranee, anche alle famiglie di Specchia, ai turisti. Ad esempio, quest’anno, abbiamo scelto un lavoro come StripLife – Gaza in a day, realizzato da un gruppo di videomaker italiani. Forse anche loro hanno compiuto una magia, hanno filmato Gaza qualche tempo prima che scomparisse, cosa che sta accadendo in questi giorni. E ci sono anche altre guerre, diverse. E forme di resistenza, come quelle qui nel sud Salento contro l’ampliamento della Statale 275, contro il consumo del territorio e le discariche tossiche, come raccontano alcuni lavori presentati. È importante fare cinema e curarci dei luoghi in cui viviamo. La videocamera è un modo di vivere.
Nel catalogo di quest’anno scrivi che il cinema del reale è fatto per metà di reale e per metà di finzioni…
Filmare è sempre interpretazione, un punto di vista, come lo è la posizione della macchina da presa. Ci sono tanti fattori che incidono, anche quelli apparentemente più insignificanti, come l’ora in cui arrivi, cosa ha mangiato il soggetto che filmi, perché se ha mangiato troppo magari resta seduto, cose così, a casualità del reale. Nel cinema di fiction, la finzione è più facile, più «sicura», codificata. Il cinema del reale è più vicino all’improvvisazione jazz.
E quello di McLaren, di Jutra, che cinema è?
I film di McLaren, straordinari, per me sono cinema del reale. Fino a poco tempo fa non conoscevo i suoi lavori, che ho scoperto in Canada, a Montréal, dove mi trovavo per una retrospettiva su Cecilia Mangini. Era un cineasta che riusciva a mettere simbolicamente in scena la realtà, come in Opening Speech, in cui è anche attore, in una battaglia col microfono che sembra avere una sua volontà propria, davanti al pubblico di un festival. Sembro un po’ io qui a Specchia. McLaren apre dei mondi, di forme, di visioni, gioca con le immagini. Straordinario, come lo era Claude Jutra. A me non piacciono i film «della verità», mi piace la realtà che sa essere quella di The Devil’s Toy di Jutra, che ha anche collaborato con McLaren.
In undici anni com’è cambiato il cinema del reale in Italia?
Il cinema del reale, dal punto linguistico e formale, è ora in ottima salute. È cresciuto negli anni, pur nelle perduranti difficoltà di chi lo fa, tirando a campare. Ma mi sento di essere ottimista e trovo che l’energia che nutre il cinema del reale sia preziosa. Sono fiero di poter dire che con la Festa del Cinema del Reale siamo stato sin da subito catalizzatori di incontri. Il problema è che ci sono ancora critici che scrivono di un certo cinema senza saperne niente, senza conoscere Gianfranco Mingozzi. Allora, quando ti imbatti in critici bravi, seri, quasi te li sposeresti. Scherzo, ma la verità è che i festival faticano a creare rete tra chi il cinema lo fa e gli addetti ai lavori del nostro ambiente.. Ecco perché credo che sia importante favorire gli incontri e che a poco servano le barricate. E, soprattutto, bisogna far vedere i film nelle scuole. I miei figli, che mangiano immagini, usano tablet, cellulari, non sanno come si costruiscono le immagini. Occorre far scattare in loro la molla della narrazione, farla diventare una necessità. Questo per me è politico, fare cinema con un senso politico delle cose.
E come si incontrano il tuo essere filmaker e direttore artistico di questa rassegna?
Bisogna essere un po’ schizofrenici, è importante poter apprezzare la bellezza del lavoro degli altri, non guardare solo il proprio ombelico. Voglio bene a tutti i film che abbiamo invitato, non li ho amati tutti, ma sapevo che dovevano esserci.
Un corpo a corpo tra chi filma e chi è filmato…», hai scritto. Chi sono i cineasti più preziosi sotto questo aspetto? Chi quelli che vorresti avere a Specchia?
Non posso non pensare a Wiseman o a Herzog che di strade ne ha mangiate tante, strade diverse. C’è, poi, Errol Morris, il suo è uno straordinario corpo a corpo con coloro che filma e intervista. Li «massacra» e, allo stesso tempo, riesce a rispettarli. Io, però, ho sempre con me la donna rock del doc, Cecilia Mangini. Lei ti porta dentro la poetica e la pratica di questo nostro lavoro, persona di una straordinaria generosità, che insegue la conoscenza e la condivide.