«È un sistema efficiente, economico e versatile». Emmanuelle Charpentier, francese, non ha dubbi sulle qualità della sua creatura: Crispr/Cas9, il meccanismo «semplice ma bellissimo», come dice lei stessa, che assieme alla statunitense Jennifer Doudna ha scoperto, studiato e perfezionato e che (come ha spiegato ai lettori del manifesto il 6 novembre scorso Andrea Capocci, http://ilmanifesto.it/un-dna-da-copia-e-incolla/), rivoluzionerà la biologia molecolare. L’abbiamo incontrata a Berlino, dove era una delle star dell’annuale incontro Falling Walls, giunto ormai alla sua settima edizione. Dal 2009, esattamente venti anni dopo la caduta del muro di Berlino, ogni 9 novembre questo meeting riunisce una ventina di esperti, sempre diversi, da tutto il mondo che secondo gli organizzatori potrebbero abbattere qualche muro della conoscenza. Charpentier che, assieme a Doudna, in pochissimi anni dalla sua scoperta (avvenuta nel 2012), ha ormai collezionato decine di premi prestigiosi (gli ultimi due in ordine di tempo sono premio L’Oréal-Unesco per le donne e la scienza e il Princesa de Asturias, il «Nobel» del mondo ispanico, entrambi assegnati il mese scorso) è destinata decisamente ad abbattere un muro scientificamente rivoluzionario. È quello della «chirurgia genica di precisione», come ha spiegato nei quindici minuti che aveva a disposizione a Berlino, città dove ormai vive, dopo che l’estate scorsa il Max-Planck-Institut (il principale ente di ricerca pubblica tedesco) l’ha nominata direttrice del nuovo Istituto di biologia delle infezioni.

Anche se le implicazioni economiche dell’impiego di una tecnica tanto efficace potrebbero essere enormi, lei ci tiene a sottolineare che la scoperta «è avvenuta grazie alla ricerca di base» e che «è necessario convincere i governi che devono fare ogni sforzo per appoggiarla. Crispr/Cas9 è un buon esempio di come la ricerca di base, che noi chiamiamo anche ’blue-sky research’ (ricerca sul cielo azzurro, ndr), su un oscuro meccanismo immunitario di alcuni batteri, possa portare a una tecnologia molto potente».

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Emmanuelle Charpentier

Dopodiché, afferma Charpentier, «la ricerca spesso conduce lungo un altro cammino, se si è aperti mentalmente». Fino ad arrivare a perfezionare un meccanismo di editing di genomi molto preciso, capace di individuare una sequenza specifica all’interno del Dna e di sostituirla con un’altra successione di basi nucleiche a scelta. «Oltre alla capacità di editare genomi – dice la microbiologa – questa tecnologia si può utilizzare per modificare l’espressione genica e pertanto per studiare l’epigenetica». E aggiunge: «La comunità scientifica ha adottato la tecnica in maniera molto rapida perché è economica, facile da usare, efficiente e versatile». La questione chiave ora, sostiene Charpentier, è quella di assicurare che Crispr/Cas9 «riesca ad arrivare alle cellule e ai tessuti corretti per poter curare le malattie più gravi; è la mia speranza per i prossimi dieci anni».

 

La scienziata pensa quindi a un rilancio della «terapia genica», basata sulla possibilità di modificare il genoma di un paziente nel caso di malattie dovute a qualche tipo di difetto genetico: aveva ricevuto un freno per i molti problemi tecnici e il decesso di alcuni pazienti tra la fine degli anni 90 e il primo decennio del secolo. «L’unico modo di curare le malattie genetiche sarebbe quello di correggere la mutazione nel gene che causa l’anomalia. Se riuscissimo davvero a farlo direttamente nel corpo del paziente, e se potessimo verificare che tutto funzioni bene, che il cambiamento nel genoma è stato solo quello desiderato, sarebbe uno strumento fantastico».

Il problema è che oggi l’efficienza della tecnica è ancora compresa solo fra l’1 e il 5% della popolazione cellulare, per stessa ammissione della ricercatrice. Proprio a fine settembre, il principale competitor scientifico delle due ricercatrici (ed economico, visto che a lui è stato assegnato il brevetto della tecnica, anche se la decisione è stata da loro impugnata: presto il verdetto), il biologo sintetico Feng Zhang, ha pubblicato una variante della tecnica che, secondo la sua opinione, permetterebbe di aumentarne l’efficienza.

Charpentier, nonostante il brevetto, definisce la sua tecnica come «democratica». Secondo lei non è contradditorio. Innanzitutto perché, come in altri casi analoghi, «la tecnologia non appartiene agli scienziati ma ai batteri». E poi, dice, «la questione del brevetto ha solo a che fare con la commercializzazione di alcuni aspetti. Piaccia o non piaccia se c’è una scoperta, c’è sempre un brevetto, soprattutto negli Usa» (dove si è svolta la maggior parte della ricerca, ndr). Anche se poi ammette: «Forse la scienza ha un problema», in questo senso. Ma assicura, «il brevetto è compatibile con la democrazia? Sì, tutti la stanno usando liberamente nei laboratori. Nessuno deve chiedere il brevetto se sta svolgendo solo ricerca. Persino Big pharma può usarla gratis se il suo scopo è la ricerca».

Sull’argomento si terrà un incontro a Washington (a partire da oggi e fino al 3 dicembre), organizzato dalle National Academies of Sciences statunitensi perché la tecnica, data il suo enorme potenziale, suscita molte perplessità. Primo, perché qualcuno maneggia l’ipotesi di manipolare embrioni umani o la linea germinale. Secondo, forse persino più grave, a parere di alcuni osservatori, perché se si introducessero organismi con il genoma modificato nell’ambiente – per esempio, si sta già lavorando su una versione della zanzara portatrice della malaria che bloccherebbe l’espansione del plasmodio, il parassita che la trasmette – e in più, grazie alla tecnica del «gene drive», la modificazione potesse trasmettersi a tutta la popolazione molto più rapidamente di quanto non previsto dalle leggi di Mendel, il rischio di effetti indesiderati e imprevisti sull’ecosistema diventerebbe molto elevato. Per questo l’incontro vedrà la partecipazione dei principali esperti del settore, fra cui la stessa Charpentier. Ma è assai difficile che si arrivi a una moratoria sull’uso della tecnica (come avvenne in passato in casi analoghi) dato che gli interessi in campo sono troppo elevati.

«Sono in corso discussioni per trovare un consenso internazionale su come utilizzare la tecnica», conferma la scienziata. «Prima di Crispr esistevano altre tecniche che facevano la stessa cosa, ma erano meno efficienti. Questa, invece, è molto potente. Può essere usata bene o male, esiste una responsabilità etica per i ricercatori».

Il primo passo da fare secondo Emanuelle Charpentier è quello di «confrontare le diverse legislazioni nei vari paesi» così da poterle uniformare. «Forse – continua – c’è anche un certo malinteso da parte del pubblico su come davvero funzioni la tecnica, che è molto più pulita di quelle impiegate sinora». Per superarlo, «bisogna sedere intorno a un tavolo scienziati, clinici, intellettuali, eticisti e il pubblico perché innanzitutto capiscano il suo meccanismo, che è una buona tecnologia e che aiuta a studiare meglio come si comportano i geni – e questo è molto importante per lo sviluppo della biomedicina». Ricorda poi che, come microbiologa, ha lavorato su patogeni umani. «Sono abituata come tutti i biologi a seguire regole etiche molto restrittive riguardo alle manipolazioni genetiche». E, pur ammettendo la possibilità di un cattivo uso, aggiunge: «Sono convinta che i biotecnologi ne vogliano usufruire per fini nobili.

Dopodiché, la manipolazione delle linee germinali umani deve essere discussa. Io personalmente spero che l’idea di utilizzare Crispr/Cas9 per modificare caratteristiche umane non venga mai portata avanti. Certamente dovremmo tutti essere d’accordo su un suo utilizzo solo per fini preventivi o terapeutici, non per modificare caratteri ereditari. Il dibattito dovrebbe vertere intorno ad alcune malattie, per le quali si potrebbe prendere in considerazione la manipolazione delle linee germinali. Ma io sono molto scettica sull’idea di poter scegliere gli embrioni che uno desidera».

 

SCHEDA

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Si apre oggi a Washington il Summit Internazionale sulle tecnologie di modificazione genetica umana. La conferenza, che si concluderà il 3 dicembre, è organizzata dalle Accademie delle Scienze di Stati Uniti, Cina e Regno Unito per fare il punto sui recenti sviluppi dell’ingegneria genetica, legati soprattutto alla nuova tecnica denominata Crispr. Grazie ad essa, modificare il genoma di una cellule, correggendo o «silenziando» geni difettosi è divenuto più semplice ed economico. Tuttavia, non si parlerà delle grandi potenzialità di Crispr solo in chiave positiva. La facilità d’uso di Crispr permette di realizzare sperimentazioni anche pericolose, soprattutto in assenza di leggi e norme bioetiche condivise a livello internazionale. I timori riguardano soprattutto le possibili applicazioni sugli embrioni umani. Grazie a Crispr, sembra più vicina la possibilità di «programmare» una cellula germinale a tavolino, correggendo difetti genetici e aggiungendo varianti genetiche vantaggiose. Alcuni scienziati hanno proposto una moratoria sulle sperimentazioni embrionali, per permettere all’opinione pubblica di informarsi e discutere le possibili conseguenze di questa tecnica. Ma le grandi società farmaceutiche hanno già iniziato a investire centinaia di milioni di dollari in questo campo, e sembra difficile fermarle. A Washington si confronteranno i principali protagonisti della ricerca su Crispr e metterli d’accordo non sarà semplice. Ci saranno le due ricercatrici che hanno inventato il metodo, Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna. Ma anche il loro rivale Feng Zhang, lo scienziato che l’ha brevettata dando vita a una controversia legale molto accesa. Ciascuno di loro, peraltro, ha fondato una sua società privata per sviluppare applicazioni commerciali basate sulla tecnica Crispr. A presiedere la conferenza sarà David Baltimore, Nobel per la medicina. Baltimore fu protagonista negli anni 70 del dibattito sulle allora nascenti biotecnologie. Grazie al suo contributo, alla conferenza di Asilomar del 1975 furono stabilite le norme bioetiche e di sicurezza che hanno governato finora la ricerca sul Dna. (andrea capocci)