Con gli ultimi passi compiuti dal governo venezuelano, il rischio che il conflitto per l’Esequibo vada fuori controllo non è più così trascurabile: era forse dalla guerra delle Malvinas di 41 anni fa che l’America latina non assisteva a uno scontro di tali proporzioni.

Forte del successo del referendum di domenica scorsa, il presidente Maduro sembra deciso a procedere all’annessione del territorio in disputa, a meno che, dice, il governo guyanese non accetti la via del negoziato diretto – come previsto dall’Accordo di Ginevra del 1966 – anziché attendere il pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia e nel frattempo puntare all’installazione di basi militari Usa. E a tal fine il presidente ha persino dato l’ordine di stampare e diffondere una nuova mappa geografica aggiornata, con l’incorporazione dell’Esequibo al territorio venezuelano.

TRA LE MISURE annunciate, la costituzione di una «Alta commissione per la Difesa della Guayana Esequiba», composta dal Consiglio federale di governo, dal Consiglio di Difesa e da quello di sicurezza, oltre che da «tutti i settori politici, religiosi e accademici»; l’immediato avvio di un dibattito parlamentare sulla «Legge organica per la creazione della Guyana Esequiba», finalizzata a concretizzare l’incorporazione della regione allo stato venezuelano; la creazione di una Zona di difesa integrale sotto l’autorità del generale Rodríguez Cabello, con sede politica e amministrativa a Tumeremo, a 75 chilometri dal confine con l’Esequibo.

Inoltre, il presidente ha ordinato alla Pdvsa, la compagnia statale petrolifera, di concedere licenze per lo sfruttamento di petrolio e gas nella regione contesa – dove di recente sono state scoperte riserve immense di idrocarburi – dando tre mesi di tempo a tutte le imprese già operative nell’Esequibo di ritirarsi dalle acque ancora in attesa di delimitazione, benché si sia detto «aperto alla discussione».

E, per finire, Maduro ha annunciato un piano di assistenza sociale a tutta la popolazione della regione, a partire dalla realizzazione di un censimento e dalla distribuzione delle carte di identità, oltre che un programma speciale per il recupero di «una delle aree più belle della biodiversità sudamericana e caraibica», attraverso la creazione di aree di protezione ambientale e di parchi nazionali.

Un’intenzione resa tuttavia meno credibile dai danni provocati dallo sfruttamento intensivo e in gran parte illegale della regione vicina all’Esequibo, l’Arco Minero dell’Orinoco, superficie di 120mila kmq nell’Amazzonia venezuelana – corrispondente a circa un terzo dell’Italia – ricca, oltre che di petrolio, di oro, coltan, diamanti, ferro, bauxite e altri minerali.

Di «una minaccia diretta all’integrità territoriale, alla sovranità e all’indipendenza politica» del suo paese ha parlato invece il presidente della Guyana Irfaan Ali che, se non dispone di forze armate come quelle venezuelane, può contare sul sostegno del Comando Sud dell’esercito statunitense.

CHE HA SUBITO battuto un colpo, annunciando operazioni di volo all’interno della Guyana in collaborazione con le forze militari guyanesi. Ma è difficile che Maduro non si sia fatto due conti: già coinvolti nei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, gli Stati uniti potrebbero avere seri problemi ad aprire un altro fronte.

A preoccuparsi è anche il governo brasiliano di Lula che non solo ha convocato una riunione di emergenza per discutere del conflitto, ma sta anche inviando nuove truppe e veicoli armati nello stato di Roraima, confinante sia con il Venezuela che con la Guyana.