Il dibattito sul referendum sull’austerità che si è tenuto ieri in Grecia ha dimostrato che il debito non è una condizione emendabile, come la Troika e tutti i governi europei fingono di sostenere. L’esigenza della sua ristrutturazione, posta con forza dal governo Tsipras e rifiutata dalle cosiddette «istituzioni», risponde ad una necessità insuperabile ed è stata riconosciuta dai maggiori economisti, oltre che in alcuni documenti del Fondo Monetario Internazionale resi noti negli ultimi giorni.

Qualora ciò avvenisse, e non è certo detto, anche le politiche di rilancio economico di stampo neo-keynesiano, portate ad esempio di un’alternativa possibile, rischierebbero di perpetrare il dispositivo dell’economia del consumo strettamente connessa a quella del debito. Anche nel caso in cui questa strada fosse presa, il problema del debito resterebbe infatti sul tavolo. Le politiche dell’austerità non sono riducibili solo a un problema economico. Si rivolgono, invece, alla vita etica e a quella sociale dei soggetti che sono governati attraverso un crudele rito teologico-politico basato sull’amministrazione dei crediti e dei debiti di ciascuno.

Debito-colpa
Questo profondo nesso tra l’esperienza religiosa e morale della colpa (Schuld, in tedesco) e la condizione economica del debito (Schulden) costituisce il nocciolo della riflessione della filosofa Elettra Stimilli che è ritornata su questi temi nel recente volume pubblicato da Ediesse: Debito e colpa (pp.238, euro 12). Una riflessione densissima dove non mancano schede e flash sull’attualità della battaglia greca con pertinenti citazioni di interviste e analisi degli economisti critici dell’austerità, a cominciare dal discusso ministro delle Finanze Yanis Varoufakis.

Stimilli va al cuore della politica ordoliberale di matrice tedesca, il regime che governa l’Europa: quello del debito è un dramma cristiano. Senza la fede, e la speranza in una remota redenzione, questo cammino penitenziale perde di senso e si mostra per quello che è: l’esercizio di un potere di vita e di morte contro le popolazioni. In realtà, spiega Stimilli, l’assonanza tra Schuld e Schulden, cioè tra colpa e debito, si trova in altre lingue: il sanscrito, l’ebraico, l’aramaico, oltre che nel tedesco moderno. In generale essa designa uno scarto impossibile da recuperare e, contemporaneamente, il vincolo sacrificale a cui sottostare per essere parte integrante di una comunità «civile». Il regime è dunque molto più ampio di quello tedesco e fa parte di un dispositivo politico che viene comunemente definito come «neoliberista». In Europa, la specificità del cristianesimo, e in particolare dell’austerità tedesca, sta nell’avere trasformato il debito in investimento e dunque in elemento propulsore per una crescita spirituale e materiale del singolo.

Questa condizione che assimila paradossalmente la liberazione a un sacrificio mortale riproduce una negatività ontologico-esistenziale insuperabile. Il debito non è tanto – o non solo – una somma di denaro, ma è una teologia sfuggente per definizione. Fare politica del debito oggi significa mancare sempre di qualcosa. Un «qualcosa» che, evidentemente, non si può gestire con una cambiale, né con «riforme strutturali» che, anzi, aggravano il senso di perdita originaria. Il debito è un fatto sociale prima ancora che economico e, come tale, esprime una disposizione fondamentale del soggetto contemporaneo: la malinconia, l’impotenza, il senso di colpa.

Nell’ampio excursus sulle teorie critiche contemporanee, il libro di Elettra Stimilli identifica l’origine dell’angoscia contemporanea: l’indebitamento è dovuto alla percezione di una perdita irrimediabile. Tale perdita è vissuta dai singoli come una colpa e come una disistima radicale verso di sé e gli altri. La vita è condizionata da una minaccia permanente, quella dell’impoverimento. Comunque vadano le cose, tutto è già finito in partenza.

Si spiegano così le forme depressive di disagio che caratterizzano le società contemporanee. Liberali formalmente, repressive nella sostanza, queste società mettono in pratica il dispositivo neoliberista descritto in maniera efficace da Michel Foucault: oggi il potere del soggetto (nei due sensi del genitivo) reprime affermando la sua libertà. Non si tratta solo di un’imposizione dall’alto, ma è anche un comandamento che il singolo impone a se stesso attraverso l’obbligo di essere performativo con il suo «capitale umano» e la costante disponibilità a vivere conformandosi a una valutazione imposta dallo stato o dal mercato.

Il debito è il prodotto del singolo, prima ancora che dalle istituzioni che hanno lo scopo di gestire o imporre l’austerità. Esso prospera sulla convinzione di non essere adeguati rispetto a ciò è richiesto per essere produttivi. Vivendo, il soggetto trasforma la sua impotenza in un debito infinito e, così facendo, pregiudica l’esistenza con le sue stesse mani.

L’esigenza del superamento di questo terribile dispositivo non può prescindere dalla trasformazione del soggetto, conclude Stimilli. Senza questo cambiamento, che si viva in un regime economico neoliberista o in uno neo-keynesiano, non esistono le condizioni per rovesciare l’austerità alimentata dalle sue stesse vittime.