Raccogliendo l’invito di Norma Rangeri a un confronto su come-quale sinistra costruire, aperto dal suo «Decalogo per l’alternativa», vorrei sottolineare due questioni che, a mio avviso, sono di grande rilevanza.
La prima è in ordine al «come». Che ci sia una estrema frammentazione è cosa evidente, e già questo – di per sé – costituisce un problema, poiché maggiore è il numero di pezzi che compongono il puzzle, maggiore è l’impegno necessario per ricomporlo.

Ma io credo che in effetti l’ostacolo maggiore sia la frammentazione delle leadership. Ciascuna delle (possibili) componenti di questa sinistra nuova ha una sua leadership, che tendenzialmente cerca di trovare – nel nuovo «soggetto» – un suo spazio, adeguato alla percezione di sé, del proprio soggetto di provenienza. Di questa potenziale conflittualità credo si vedano già i primi segnali.

Ecco, io ho l’impressione che si possa stabilire un utile parallelo tra questo e la questione dell’Europa. Oggi siamo di fronte ad un Europa largamente percepita come «estranea» e «insufficiente».

La risposta «di destra» è la chiusura, il ritorno ai nazionalismi.

La risposta «di sinistra» non può che essere, al contrario, «più Europa», intesa come maggiore integrazione. Ma questa «risposta» è più difficile, perché comporta una maggiore cessione di sovranità, che – stando così le cose – viene percepita come una minaccia ancora più grande.

Dunque, la risposta non può che essere basata su uno scambio: meno sovranità e più solidarietà, più compartecipazione, più democrazia. Un processo, più che uno step; una prospettiva. Quel che, tra un anno o poco più, possono cominciare a mettere in campo Syriza + Podemos + Sinn Féin + …

Ugualmente, per la sinistra nuova è necessario partire dal riconoscimento che serve un processo (non un «congresso costituente» né una «trattativa» tra segreterie), e che questo processo deve partire avendo chiara la necessità di una reciproca ed uguale «cessione di sovranità». Che, in parole povere, significa non porsi il problema di quale sarà la leadership finale né del «peso» che ciascuna componente avrà nel nuovo soggetto. Che altrimenti nascerebbe con tutti i germi della (futura) divisione inscritti nel proprio Dna.

Senza fare «processi» a nessuno, ma anche senza nascondersi nulla, va detto chiaramente a tutte le attuali leadership che la massima dimostrazione di intelligenza politica e generosità, che possano oggi mostrare, è quella di avviare e accompagnare questo processo, che chiaramente comporti la necessità di una leadership nuova. Non presa «dalla strada», certo, ma che non sia nemmeno il frutto (avvelenato) di una competizione e/o di un «accordo» tra le leadership attuali.

Questa è la prima questione che può fare la differenza tra una sinistra nuova, capace di allargarsi oltre i suoi tradizionali «recinti», e l’ennesima riproposizione di una sinistra novecentesca, che questi recinti non riuscirà mai a sfondare.

L’altra questione è in ordine al «quale». Abbiamo un grande riferimento, nel nostro recente passato, ed è un riferimento largamente comune (e sottolineo il «largamente»): l’esperienza di Porto Alegre. Mi riferisco chiaramente a tutto ciò che stava dentro quel movimento mondiale, che in Italia fu (in parte) fermato a Genova, nel luglio di 14 anni fa, ma che ancora un anno dopo (Forum Sociale Mondiale di Firenze) aveva una forza enorme, che nessuno ha saputo raccogliere.

Quello che allora appariva ai più come un radicalismo estremo, è oggi quasi senso comune, e comunque sotto gli occhi di tutti.

Ripartire da quella piattaforma, da quelle idee-forza, è ancora oggi non solo attualissimo, ma assolutamente «potente». Quasi tutto il resto – le forme organizzative, le scelte tattiche, etc. – in buona parte verrebbe da sé.

La domanda chiave, quindi, è: sapranno le leadership attuali avere questa intelligenza e questa generosità? Sapremo noi far loro comprendere questa necessità?

Enrico Tomaselli è Magmart Festival Art Director