31lettere chinnici
La mattina del 29 luglio 1983 i palermitani cominciavano la loro giornata con la solita carica di ottimismo con cui affrontano le difficoltà della vita, mai immaginando che alle 8 e 35 di quella caldissima giornata sarebbe accaduto in via Pipitone un fatto sconvolgente. Rocco Chinnici, il Procuratore di Palermo che ideò il pool antimafia e che istruì il primo maxiprocesso, venne dilaniato dall’esplosione dell’autobomba imbottita di tritolo e la stessa orrenda fine fecero i due agenti della sua scorta Mario Trapani e Salvatore Bartilotta e il portiere dello stabile di via Pipitone dove abitava il magistrato e che lo seguiva con la borsa in mano. Una esplosione assordante e una fiammata accecante, simile a una eruzione vulcanica, straziarono i loro corpi. Saltarono in aria altre auto e il palazzo subì gravi lesioni.

Dietro l’autobomba, che aprì la stagione delle stragi mafiose al tritolo creando la duratura immagine di Palermo come Beirut, c’erano un patto scellerato tra mafia militare e potere politico-economico e anche una giustizia “sonnolenta”. Rocco Chinnici entrò in magistratura nel 1952 e fu destinato al Tribunale di Trapani. Dopo essere stato per dodici anni Pretore a Partanna venne trasferito nel maggio del 1966 all’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo come Giudice Istruttore. E presso lo stesso Tribunale venne promosso nel novembre 1979 Consigliere Istruttore. In questo periodo maturò l’idea di costituire un pool antimafia, chiamandovi a farne parte Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e altri coraggiosi magistrati. Il primo grande processo alla mafia, il cosiddetto maxiprocesso di Palermo, iniziato dopo la sua morte e concluso nel 1987, fu il risultato del lavoro istruttorio svolto da questo pool.

Chinnici aveva rivoluzionato il metodo investigativo, scardinato le casseforti delle banche, per mettere il naso sui patrimoni sospetti. Stava per chiudere il cerchio attorno ai mandanti e agli esecutori dei delitti di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, per i quali pensava ci fosse un’unica regia. E la mafia lo fermò.

In una delle sue ultime interviste, Chinnici ha detto «La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare».

Ma per ricordare il sacrificio di Rocco Chinnici e degli uomini della sua scorta (e del malcapitato portiere dello stabile) non è stato girato nessun film e nessuno sceneggiato televisivo. E nessun aeroporto, nessuna piazza e nessuna scuola e nessun albero gli sono stati dedicati. E nessuna nave, nessun treno, nessun pullman porterà oggi a Palermo gli studenti delle scuole di mezza Italia per «chiedere verità e giustizia sulla strage del 1983». E nessun magistrato si farà intervistare per esaltare il suo sacrificio. E nessuna sorella e nessun fratello ne ricorderà la memoria. E nessun giornale e nessun telegiornale ricorderà questo eroe della lotta alla criminalità organizzata.

Lo faccio oggi, nel 32mo anniversario della morte di Rocco Chinnici. Con l’auspicio che Presidenza della Repubblica, Csm e Parlamento istituiscano una «giornata della memoria» per ricordare tutti i magistrati e gli uomini e le donne delle loro scorte che hanno sacrificato la loro vita nella lotta alla mafia. Gli eroi da ricordare ogni anno non sono solo Falcone e Borsellino.

Gerardo Mazziotti è premio internazionale di giornalismo civile 2008