Caro Guido, pur condividendo l’analisi sulla situazione in cui si trovano i Comuni costretti a svendere ai privati i servizi pubblici, che hai sviluppato il 23 agosto sul manifesto, devo dire che non condivido il finale del tuo articolo nel quale si mette la scuola nel calderone dei servizi di welfare locale come le partecipate, arrivando ad equiparare i servizi per la gestione dei rifiuti o del gas con la scuola materna (si chiama dell’infanzia da almeno 15 anni!) e addirittura con la scuola primaria che è obbligatoria. Per non parlare dell’equiparazione fra scuola e servizi a domanda individuale come i nidi. Tu stesso richiami i principi costituzionali come la nostra bussola. L’art. 33 c. 2 della Costituzione afferma che «La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi». L’art. 34 c. 1 afferma che «La scuola è aperta a tutti». Ciò comporta l’obbligo per le Istituzioni pubbliche di garantire a tutte e tutti dai 3 ai 18 anni, in condizioni di eguaglianza, un’istruzione di qualità laica, democratica e gratuita. Il compito di tali articoli è chiaramente quello di garantire una «pari dignità sociale» e l’«effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Una tale disposizione non esiste in nessun altro settore del welfare.
E la ragione è chiara: i nostri costituenti hanno pensato che una società migliore si potesse costruire a partire dalle nuove generazioni, che devono essere messe tutte nelle stesse condizioni di partenza, senza alcun tipo di discriminazione. Pensi che la strada giusta per contrastare i processi di privatizzazione in atto dei beni comuni sia quella di sviluppare processi di «partecipazione diretta dei cittadini alla loro gestione»?
Nella scuola abbiamo ben chiara la differenza fra la scuola privata (cioè gestita da privati , per loro fini di parte, qualunque siano) e quella gestita da Enti pubblici per conto di tutti e che a tutti deve rendere conto.
L’alternativa mi pare dunque essere quella fra un allargamento dei principi costituzionali su cui si fonda la scuola ad altri settori e quella di un suo ridimensionamento a un servizio erogabile localmente in base alla disponibilità di bilancio. Nella seconda ipotesi finiremo come nei paesi anglosassoni nei quali impera il localismo e un bambino ha già determinato il suo futuro in base alla comunità in cui vive.

Bruno Moretto, Comitato articolo 33, Bologna

Caro Bruno, non ci siamo capiti. Lungi da me l’idea di mettere sullo stesso piano scuola e gestione dei rifiuti: non troverai niente di simile nel mio articolo.
Dico semplicemente che ci sono servizi oggi gestiti dai Comuni, nei confronti dei quali è in corso un processo di privatizzazione che va combattuto. Dove i servizi sono gestiti da Spa, (è il caso dei cosiddetti servizi pubblici locali) si cerca di imporne la svendita. Ma ci sono altri servizi, quelli che rientrano nell’ambito del welfare comunale, che vengono anch’essi privatizzati esternalizzandone l’erogazione attraverso “cooperative” che sono solo un mezzo per realizzare dei risparmi sulla retribuzione del personale e sulla pelle degli utenti e che vengono gestite da centrali che di cooperativo hanno ben poco. Tra questi una parte crescente del personale delle scuole materne (pardon dell’infanzia: hai ragione tu) e in diverse regioni, tra cui la tua, anche alcuni servizi che coinvolgono direttamente le scuole, come il sostegno erogato dagli educatori.
Anche sulla gestione di questi servizi una democrazia locale partecipata dovrebbe aver voce in capitolo. Per il resto sono d’accordo con te che la scuola, anche quella dell’infanzia, che non rientra nella fascia dell’obbligo, dovrebbe essere statale e disponibile per tutti.
Ciò non toglie che un controllo dal basso sul modo in cui viene gestita è un requisito irrinunciabile della democrazia: il che non significa coinvolgere solo docenti e famiglie (e ai livelli di scuola media e superiore, gli studenti), ma anche il territorio. Proprio perché la scuola è di tutti e non solo di chi la frequenta. O vogliamo lasciare tutto in mano ai dirigenti scolastici?
Guido Viale