Un business mondiale che coinvolge soggetti statali, non statali, criminalità organizzata, jihadismo e organizzazioni no-profit: è la tratta di esseri umani. Fenomeno millenario che accompagna l’umanità fin dalle prime forme di schiavismo, oggi è concretamente visibile nei barconi che approdano lungo le coste italiane e nei volti scavati degli ostaggi occidentali liberati dopo il pagamento di lauti riscatti. Un giro d’affari da miliardi di dollari in cui tutti i soggetti coinvolti si fanno mercanti, vuoi per finanziare le attività jihadiste vuoi per propaganda politica. Ne abbiamo discusso con Loretta Napoleoni, a pochi giorni dall’uscita del libro Mercanti di uomini (Rizzoli, pp. 360, euro 18,50).

Come è cambiato il business della tratta degli esseri umani dopo gli stravolgimenti in Medio Oriente seguiti all’invasione Usa dell’Iraq nel 2003?
Prima dell’11 settembre, il sistema di finanziamento dei gruppi terroristi si fondava principalmente sugli aiuti degli sponsor (come l’Arabia Saudita con al Qaeda) e sul contrabbando di droga. I sequestri non esistevano. Dopo l’11 settembre i rapimenti diventano una delle fonti più redditizie. Una nuova dimensione molto preoccupante perché legata alla risposta occidentale all’11 settembre. L’abbiamo creata noi: questi gruppi si agganciano alla nostra economia e approfittano della nostra politica, le interdipendenze sono enormi. Si tratta di un modello alimentato a monte dal pagamento dei riscatti da parte dei governi occidentali e il cui stadio finale è il traffico dei migranti, diretti appunto verso l’Occidente. Il traffico dei migranti è figlio delle politiche scellerate condotte dopo la caduta del muro di Berlino, con l’ondata di destabilizzazione del mondo arabo.

Quali sono le forme di finanziamento dello Stato Islamico?
Prima delle controffensive anti-Isis del 2015 e 2016, circa il 20% del budget proveniva dal contrabbando di petrolio e risorse energetiche, un altro 20% da gestione dell’acqua e produzione agricola, un 10% dai contributi degli sponsor privati e statali. Tutto il resto dal sistema di tassazione interna, la metà del totale. Con i rapimenti sono entrati tra gli 80 e i 90 milioni di dollari, un valore importante ma non così significativo visto che il turn over islamista era di due miliardi. Sicuramente nell’estate del 2015 il traffico dei migranti è stato importante, ma è stata una finestra di pochi mesi corrispondente all’apertura delle frontiere decisa dalla cancelliera tedesca Merkel.

Vista la centralità delle tasse locali, la perdita di territorio peserà sulla spinta propulsiva islamista?
La perdita di Mosul avrà un peso enorme, ma l’Isis sapeva che non avrebbe potuto tenersela a lungo. Ha però ancora in mano Raqqa e la provincia irachena di Anbar e da lì sarà più difficile sradicarlo. Non sarà scalfito fino a quando avrà materiale di propaganda con cui mantenere il controllo di porzioni di territorio, ossia l’assedio esterno e i raid aerei.

Come immagina il futuro della macchina politico-economica dello Stato Islamico?
Penso che sarà inglobato in un futuro Stato sunnita frutto delle negoziazioni tra super potenze: il nord di Iraq e Siria verrà spartito e verrà creato uno Stato sunnita sotto l’egemonia turca, collasserà il sogno dell’unità kurda e nel sud Iraq si consoliderà un regime sciita. In questo nuovo Stato confluirà l’Isis: un’amnistia ufficiosa integrerà i gruppi armati già finanziati dalla Turchia. Così il califfato ha vinto: sarà il primo vero Stato sunnita, insieme alla Turchia in fase di islamizzazione, in chiave «moderna».

Una visione che si fonda su una sorta di legittimazione dell’Isis…
Il califfato esiste perché i leader tribali sunniti gli hanno permesso di esistere. È vero che ha occupato dei territori, ma in qualche modo si è sottomesso a quella che era l’autorità tribale, senza la quale non avrebbe resistito a lungo. La sua è una spinta nazionalista e non religiosa, la religione è mero strumento politico. Per cui una volta creato uno Stato sunnita, gestito secondo la Shari’a, avrà ottenuto quanto voleva. Elementi violenti, cellule attive resteranno ma ci sarà un significativo allentamento del conflitto sia in Europa che nei territori mediorientali occupati. È la stessa cosa successa dopo il 2005 con il risveglio sunnita in Iraq e la ribellione delle tribù ad al Qaeda: da quel momento la spinta qaedista è scemata. Scemerà anche il flusso di rifugiati.

Dal libro emerge con chiarezza il ruolo del business dell’accoglienza…
Ho dovuto togliere i nomi di alcune organizzazioni perché hanno minacciato denunce. Il giro d’affari dell’assistenza è tremendo sia in Medio Oriente che in Europa. È un’industria cresciuta esponenzialmente, a scopo di lucro: non significa nulla l’etichetta «no profit»: sono soggetti che acquistano immobili, assumono personale. Stime reali non esistono, ma di certo è l’industria che a livello mondiale negli ultimi 20 anni è cresciuta di più all’interno dei rapporti internazionali. In Italia è palese con i famosi 35 euro al giorno ricevuti dalle strutture e che non vengono investiti per i migranti ma per allargare il raggio d’azione dell’organizzazione.

Si può parlare di un sistema di tratta che coinvolge ufficiosamente tutti? Da gruppi criminali a organizzazioni fino a entità statali?
Assolutamente. Accade con i migranti come per gli ostaggi, dove la liberazione dietro il pagamento di un riscatto diventa strumento di propaganda politica e mediatica. Il messaggio che passa è l’atto positivo compiuto dai governi, lo sforzo per riportare a casa un concittadino. Sono tutti mercanti. E nessuno si chiede dove finiscano quei riscatti, se per rapire altri italiani, per traghettare in Europa centinaia di migliaia di rifugiati o per mettere una bomba a Parigi o Istanbul. E poi ci sono le società di sicurezza che forniscono i negoziatori e che spesso costano di più del riscatto stesso. Si parla di 2-3mila dollari al giorno. Facendo qualche calcolo, è «conveniente» perché calano i riscatti e i tempi di rilascio.

Negoziare è la scelta giusta, visto che legittima un simile sistema e i gruppi che lo gestiscono?
Lo Stato non deve intervenire né negoziare ma non può impedire alla famiglia di agire. Se interviene, legittima un sistema che viene in qualche modo, indirettamente, sfruttato anche da chi lavora in luoghi pericolosi: diversi giornalisti italiani mi hanno confidato di rischiare più del normale perché sono convinti che poi lo Stato italiano pagherà.

La tratta di esseri umani, rifugiati o ostaggi occidentali, inficia le dinamiche politiche nei paesi interessati, in termini di alleanze, fratture, destabilizzazioni?
Si tratta di un business che amplia destabilizzazioni già in atto. Il jihadismo, rafforzato dal punto di vista economico, si allarga geograficamente e attira nuovi adepti. Lo si vede bene in Africa, dove la scelta è limitata se si vuole cambiare vita e avere qualche chance: o si diventa trafficante o si aderisce a gruppi jihadisti o si emigra. Questo processo svuota i paesi di soggetti che potrebbero rappresentare un’alternativa politica o sostenere i processi di democratizzazione: molti di coloro che se ne vanno sono i più reticenti ad aderire a un mondo di criminalità, corruzione o jihadismo. A livello politico le alleanze tra gruppi e signori della guerra aumentano il peso politico di soggetti non statali: controllano interi territori, anche a cavallo dei confini, a scapito degli Stati.

SCHEDA

Economista ed esperta di jihadismo e terrorismo internazionale, Loretta Napoleoni è stata la prima ricercatrice a studiare i flussi finanziari dei gruppi terroristici. Laureata alla Paul H. Nitze School of Advanced International Studies in Relazioni internazionali e economia e alla Sapienza in Scienze economiche, ha collaborato come esperta con diversi governi ed è consulente per Bbc e Sky News. Da trent’anni si divide tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, dove ha insegnato Etica degli affari alla Judge Business School di Cambridge. Tuttora tiene seminari e corsi in diverse università internazionali.
Tra le sue pubblicazioni più note e diffuse, molte tradotte in 18 lingue, ci sono «Terrorismo S.p.A» (2005, Il Saggiatore), «Economia canaglia» (2008, Il Saggiatore), «I numeri del terrore» (2008, Il Saggiatore), «Maonomics» (2010, Rizzoli), «Democrazia vendesi» (2013, Rizzoli), «Isis, lo Stato del Terrore» (2014, Feltrinelli)