«L’Obamacare sta esplodendo, era prevedibile, lo dico dal principio». Così ha dichiarato Donald Trump durante un comizio in Florida, commentando l’annuncio da parte dell’amministrazione Obama secondo la quale si assiterebbe a un aumento del 25% in media per i premi da parte delle assicurazioni sanitarie previsti per il 2017; per le polizze significa un aumento di oltre il triplo di quello registrato l’anno scorso.

L’annuncio dell’aumento è stato dato dal governo che ha tuttavia garantito un incremento dei sussidi federali, per far si che circa il 70% delle persone possa continuare a trovare un piano sanitario che costi meno di 75 dollari al mese, anche se circa il 20% degli americani avrà una sola possibilità di scelta, vista la defezione di molte compagnie di assicurazione private che si ritirano a causa della scarsa redditività del settore. Non tutti gli americani avranno un contraccolpo da questo aumento: non saranno toccati quelli che si avvalgono di un’assicurazione sponsorizzata dal governo o pagata dal proprio datore di lavoro; più complicata la situazione per i lavoratori autonomi o i piccoli imprenditori. Questo aumento spropositato appare ancora più grande se confrontato a quelli degli ultimi anni, +2% nel 2015 e +7% nel 2016.

L’aumento mette allo scoperto il tallone di Achille di questa manovra di Obama definita anche da Bill Clinton «la cosa più pazza del mondo». Sin dalle primarie Hillary Clinton ha sempre detto che l’Obamacare andrebbe rimaneggiata, al contrario di Sanders che l’avrebbe invece abolita e sostituita con una copertura sanitaria universale pagata tassando le transazioni miliardarie di Wall Street. Nel suo piano, come ha ricordato in questi giorni, Clinton vorrebbe espandere la copertura assicurativa, migliorando il profit dell’Obamacare perché permetterebbe agli assicuratori di dividere i propri costi ripartendoli tra più persone e questo aumenterebbe i tassi dei premi.

La candidata democratica vorrebbe proporre un tetto massimo sulla spesa sanitaria a carico dei cittadini che al momento supera del 5% gli introiti. Infine vorrebbe concedere a tutti gli americani al di sopra dei 55 anni di iscriversi al piano Medicare, anticipando di 10 anni l’attuale età di idoneità. Trump, invece, promette di sostituire l’Obamacare con una soluzione basata sul libero mercato per tutti gli americani, assicurati e non.

In questo modo gli assicuratori potrebbero vendere polizze oltre i confini statali diventando più competitivi. Ogni cittadino potrebbe aprire un libretto di risparmi per la salute, esente da tasse. Infine il repubblicano intende sostituire il sistema di finanziamento federale del Medicaid,passando da una ripartizione dei costi pubblici ad un sistema di finanziamento a fondo perso. Due posizioni agli antipodi.

Secondo uno studio rilasciato dal Commonwealth Fund, il piano di Clinton estenderebbe la copertura a circa 10 milioni di persone costando al governo 90 miliardi di dollari nel 2018, con una diminuzione delle spese a carico del cittadino.

Con Trump, invece, circa 25 milioni di persone perderebbero la copertura sanitaria e il governo federale perderebbe fino a 40 miliardi di dollari nel 2018. Ma Trump non ha sferrato un attacco alla rivale solo sul versante della riforma sanitaria, perché ha morso anche sul tema della politica estera affermando che una volta eletta, Clinton potrebbe scatenare un conflitto nucleare, probabilmente con la Russia.

Secondo il miliardario newyorchese Hillary Clinton, con le sue politiche per la Siria, trascinerebbe l’America e il mondo «in una terza guerra mondiale». In un’intervista rilasciata alla Reuters, Trump ha attaccato la politica di Hillary in Siria, sostenendo che ha sortito l’unico effetto di esacerbare le tensioni tra Washington e Mosca, quindi con una conclamata potenza nucleare che appoggia il regime del presidente Assad.

«La priorità – ha affermato Trump – dovrebbe essere la lotta all’Isis e non l’uscita di scena di Assad, come reclama l’attuale amministrazione Usa».
Ma non è solo il fronte democratico a preoccupare Trump in questi giorni, altri grattacapi arrivano dal «quarto polo» rappresentato dal libertario Gary Johnson che, almeno in Georgia, rappresenta un problema concreto per il candidato repubblicano. Stando all’ultimo sondaggio del quotidiano Atlanta Journal Constitution, Johnson, che su scala nazionale raggiunge il 6%, in Georgia arriva al 9% e sono, i suoi, tutti voti sottratti ai repubblicani.

Al momento in Georgia, Stato conservatore, il vantaggio di Trump su Clinton è di due punti di percentuale; a votare per Johnson sono prevalentemente i giovani che avvertono come la loro generazione sia penalizzata rispetto alle precedenti e non si sentono né protetti né rappresentati dai due candidati tradizionali, quindi ripiegano sul quarto polo, e fa niente se, come ha dimostrato durante un’intervista, Johnson non ha idea di cosa sia Aleppo.