Non si può definire entusiasmante il dibattito parlamentare sulla proposta di legge diretta a introdurre il crimine di tortura nel nostro codice penale. Un paio di metafore sportive aiutano a capire cosa sta succedendo. La discussione ricorda qualcosa che è a metà tra una gara di velocità nel ciclismo su pista quando entrambi gli atleti iniziano un noioso “surplace” fermandosi sul posto in attesa che l’altro faccia la prima mossa e la partita di calcio Svezia Portogallo under 21 di qualche giorno fa quando le due nazionali hanno messo in pratica il più classico dei biscotti facendo melina a centrocampo, accordandosi per un pareggio e così eliminando l’Italia.

In Senato vi è la più classica fase di stallo. Una cosa emerge chiara dalla lettura degli atti parlamentari: a Palazzo Madama hanno deciso di modificare il testo approvato alla Camera lo scorso aprile ritenuto troppo “punitivo” nei confronti delle forze dell’ordine. Chi è intervenuto si è detto sensibile alle pressioni giunte dalle forze dell’ordine. Sono stati presentati emendamenti diretti a rendere il testo ancora più generico di quello che già era. Va detto che la commissione Giustizia del Senato ha sentito in audizione informale tutti i capi delle forze di polizia, compreso il capo dell’amministrazione penitenziaria, ma nessuno di quegli accademici o di quelle organizzazioni non governative che da trent’anni si occupano del tema.

In Italia la tortura non può ancora essere chiamata per legge tortura. La parola tortura invece compare ben otto volte nelle Mandela Rules, senza che i redattori delle stesse temessero le reazioni delle forze di polizia in giro per il mondo, e ce ne sono di tremende. Lo scorso 21 maggio nel ricordo della prigionia di Nelson Mandela, la Commissione Onu sulla prevenzione del crimine e la giustizia penale ha approvato le nuove regole per il trattamento dei detenuti su scala universale. Spetta ora all’Assemblea generale dell’Onu ratificarle, si spera entro la prossima sessione. Le Regole seppur non vincolanti per gli Stati costituiscono un punto di riferimento normativo per elevare gli standard di vita nelle carceri in giro per i continenti, pur sapendo che non è facile conciliare culture sociali, religiose e penali molto diverse tra loro.

Come anticipato nel testo la parola «tortura» compare ben otto volte, nella consapevolezza che solo attraverso la prevenzione e la formazione, la qualificazione e la gratificazione dello staff penitenziario la tortura potrà essere del tutto debellata. Ovviamente l’approvazione delle Mandela Rules costituisce un passo in avanti importante anche per l’Italia che con gli Stati generali sulla pena promossi dal Ministero della Giustizia sta sperimentando modalità innovative a ampie di partecipazione ai processi di riforma.

Nel commentare l’approvazione delle regole Onu, l’American Civil Liberties Union, ovvero la più importante organizzazione per i diritti umani negli Usa, ha usato la parola «vittoria». In particolare riferendosi alle disposizioni che limitano l’isolamento disciplinare. La pratica dell’isolamento, quando è prolungato nel tempo e privo di ogni forma di controllo medico o giurisdizionale, confina con la tortura. Sono previsti limiti temporali e di contenuto alla misura.

L’isolamento provoca desocializzazione, instabilità emotiva, danni psichici. Il suggerimento è utile anche per il legislatore italiano visto che in questi giorni alla Camera è in discussione la legge delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario. Tutte le misure disciplinari, isolamento compreso, devono essere supervisionate da un giudice, non devono interrompere i rapporti con l’esterno, devono essere extrema ratio. Prima di isolare una persona provocandogli un danno irreversibile va intrapresa ogni via alternativa per risolvere il conflitto insorto tra chi custodisce e chi è custodito. Vanno sperimentate anche in carcere pratiche di mediazione sociale.

Si dà atto, nelle Mandela Rules, che il sistema disciplinare nelle prigioni spesso è fonte di ulteriori sofferenze arbitrariamente imposte.

Dunque così come un Giano bifronte, l’Italia che ha avuto un ruolo importante nell’elaborazione delle nuove Regole penitenziarie Onu, non riesce a fare un passo in avanti nel definire «tortura» ciò che il diritto internazionale chiama senza patemi d’animo «torture». Speriamo che in Senato si superi il “surplace” ma che soprattutto non si prepari il biscotto.

* presidente Associazione Antigone