Tra pochi mesi il 1977 spegnerà quaranta candeline e, come prevedibile, le librerie verranno invase da memoriali, diari e romanzi dedicati agli anni Settanta. Dopo questa abbuffata di titoli, il dibattito pubblico sugli anni di piombo si spegnerà lentamente e tornerà ad essere un ambito di ricerca ad uso esclusivo degli appassionati e degli specialisti.
Il primo merito del libro di Carmine Mezzacappa e dei tipi di Paginauno che lo hanno pubblicato è proprio quello di giocare d’anticipo, sottraendosi in questo modo alla retorica semplificatoria e iper-polarizzata dell’anniversario. Le pagine che aprono Cinema e terrorismo, per esempio, sono alcune tra le più acute e ragionate scritte recentemente sugli anni Settanta italiani: Mezzacappa, infatti, rifiuta «l’equazione dissenso = causa della lotta armata» e invita il lettore ad addentrarsi nella complessità di un decennio vivido e, allo stesso tempo, tormentato, stigmatizzando quella dialettica retrospettiva oggi in voga «che mira a condannare la violenza radicale e disperata e ignora le circostanze che la determinano». Quella pronunciata dall’autore del saggio non è ovviamente un’apologia nei confronti di coloro che hanno preferito la critica delle armi alle armi della critica: Mezzacappa evidenzia come, per superare un’inutile quanto sterile interpretazione manichea degli anni Settanta, sia necessario, per quanto difficile e doloroso, assumere nella rappresentazione del decennio anche il punto di vista del militante violento e ragionare sui motivi che hanno spinto numerosissimi giovani a intraprendere la lotta armata, riconoscendo la natura razionale – condivisibile o meno – di questa scelta e ricercandone le cause anche negli atteggiamenti di uno Stato non del tutto esente da colpe o responsabilità.
UN CATALOGO EMOZIONALE
Proprio per questa ragione, nella sua ricognizione dei film dedicati alla lotta armata, Mezzacappa rileva come la maggior parte delle pellicole esaminate, piuttosto che intraprendere la missione impossibile di ricostruire le cause strutturali dell’innalzamento dello scontro tra i movimenti politici e lo Stato, ambisca piuttosto a restituire la dimensione esistenziale e il travaglio psicologico delle varie figure protagoniste di quegli anni, ovvero quelle dei militanti pentiti, di quelli che si sono dissociati, e degli irriducibili, ma anche dei giudici, dei poliziotti e di molte altre, creando un catalogo emozionale che, sebbene non in grado di rivelarci chi abbia piazzato le bombe in Piazza Fontana o in Piazza Loggia, ci aiuterà sicuramente a comprendere l’impatto emotivo che questi eventi possono avere avuto nella coscienza dei militanti dell’epoca.
LE RARITÀ
L’analisi dei film presentati nel volume cerca di coprire le numerose declinazioni che il tema della lotta armata ha assunto sul piccolo e sul grande schermo. In questo compito sicuramente complesso, Mezzacappa non può prescindere dal prendere in considerazione le pellicole che, per meriti artistici o per il dibattito che hanno suscitato, sono ritenute ormai canoniche, come, per esempio,«Colpire al cuore» di Amelio, «Maledetti vi amerò» e «La caduta degli angeli ribelli» di Giordana o «La Prima linea» di De Maria. Allo stesso tempo, tuttavia, l’autore amplia l’archivio e reintroduce nel dibattito sulla cinematografia dedicata agli Anni di piombo dei film che, a causa di una distribuzione limitata o della scarsa reperibilità, erano usciti dal circuito delle visioni suggerite. È il caso, fra gli altri, di «Fuga senza fine» di Pecorelli e «Il tempo del ritorno» di Lunerti, i cui registi vengono espressamente ringraziati dall’autore nell’introduzione al saggio per avergli prestato le loro copie personali del film. Benché le pellicole descritte da Mezzacappa intercettino la maggior parte del corpus dei film dedicati alla lotta armata e non si possa chiedere alla sua monografia di possedere la completezza che, al contrario, contraddistingue i dizionari del cinema, stupisce, di fronte all’osservazione dello stesso autore circa il numero esiguo di film dedicati alle trame nere e al terrorismo di destra, l’assenza della scheda di una pellicola recente come «Romanzo di una strage» di Giordana o di altre, più datate, come «San Babila ore 20: un delitto inutile» di Lizzani.
LE RECENSIONI D’EPOCA
Al netto di questa piccola mancanza, il giudizio sul saggio di Mezzacappa rimane comunque fortemente positivo: considerando la massima, attribuita, tra gli altri, a Frank Zappa, per la quale «scrivere di musica è come ballare di architettura» e riconoscendo al alla critica cinematografica la stessa difficoltà di poter contare sulle sole parole per analizzare un prodotto audiovisivo, l’autore, fedele al suo intento di realizzare «una sorta di catalogo, da consultazione», ci offre delle schede interessanti e mai banali, riuscendo a evitare sia la mera descrizione impressionistica delle pellicole sia l’utilizzo di riferimenti teorici troppo ostici che potrebbero allontanare il lettore meno esperto a cui, si pensa, sia indirizzato questo bel saggio divulgativo. Un elemento che contribuisce ad arricchire «Cinema e terrorismo» è la capacità di Mezzacappa di impreziosire le sue schede facendo dialogare le parole dei film analizzati con le rispettive recensioni, coeve all’uscita in sala delle pellicole e raccolte in alcune delle riviste di settore più importanti come «Cinema nuovo» e «Cineforum». In questo modo l’autore non ci offre solo una soglia d’ingresso nella costellazione dei film dedicati alla lotta armata e un suo possibile percorso di lettura, ma ricostruisce anche le perturbazioni che queste pellicole, alla loro uscita, hanno determinato nel dibattito culturale italiano. Una delle osservazioni più condivisibili di Mezzacappa, infatti, è quella di considerare i film che egli ha analizzato non tanto in virtù del loro contenuto di verità e non solo come scandaglio dell’animo del militante, quanto, in base all’anno di uscita e alla reazione della critica, come termometro «che riflette il clima politico e sociale del periodo in cui il film viene girato», ovvero come strumenti in grado di riflettere lo stato di salute della continua rilettura critica a cui vengono sottoposti gli anni Settanta.
UNA COSTANTE
Per concludere, una delle tematizzazioni più originali all’interno del saggio di Mezzacappa è costituita dal riscontro in diverse pellicole della possibile continuità tra la figura del genitore partigiano desideroso di continuare a combattere anche dopo la fine della Resistenza e quella del figlio militante che decide di intraprendere la lotta armata. Ora che i militanti, violenti o meno, sono diventati i genitori, un libro come quello di Mezzacappa può rivelarsi uno strumento prezioso per i figli di oggi per comprendere i propri padri e le proprie madri, e per orientarsi politicamente in una realtà che, malgrado i quarant’anni trascorsi, non cessa di essere conflittuale e ricca di contraddizioni.