Bisogna riconoscere che Marta Marzotto è stata una donna irriverente. È forse il migliore saluto che le si possa fare. Esagerata, Martissima come la sua linea di borse e di biancheria. Ironica e decentrata, Marta da Legare come una sua vecchia linea di abiti. Eccentrica come i caftani che indossava sempre, inverno ed estate, a Milano come a Parigi e a Londra. E a Marrakech, dove aveva una casa nella medina e, nel suq, la Maison du Caftan, una graziosa boutique-sartoria del tipico abito maghrebino, ha tantissime sue foto affisse alle pareti come se fosse una grande diva di Hollywood.

Fa sorridere che oggi la ricordino come «stilista e disegnatrice di gioielli». Non lo era. Marta era una donna che inventava ogni giorno la sua vita con il glamour e la mutevolezza delle collezioni di moda. La sua vita, come dice un titolo di un suo vecchio libro, è stata il successo dell’eccesso.
Per chi l’ha vista di recente, 86 anni portati con la freschezza di chi non tiene conto dell’età e del tempo che passa, è impossibile pensare che se ne sia andata. Piena di vita com’era, non la si poteva collegare a un finale. Se non a quello rosa e ottimista che l’ha inseguita per tutta la vita. Di gioie e di dolori, Marta Marzotto ne ha avuti tanti. Molte gioie le ha condivise allegramente con il pubblico in una vita da rotocalco che l’ha sempre dipinta come una Semiramide della pianura italiana, ma molti dolori li ha tenuti per sé, come la morte prematura e dolorosissima della sua adorata Annalisa, la terzogenita. Donna atipica per la sua generazione, a tratti spregiudicata, ma generosa. Di quella generosità che porta a commettere errori. Anche quelli che ti auto danneggiano.

Nata a Reggio Emilia come Marta Vacondio, figlia del sottoproletariato, intuisce da giovanissima che la sua strada è altrove, e va a Milano a fare la sartina e la modella. Era molto bella, per cui il doppio ruolo non stonava. Nella sartoria della Milano perbene delle sorelle Aguzzi, incontra il conte Umberto Marzotto, solida famiglia dell’industria tessile. Impiegheranno due anni per sposarsi il 18 dicembre 1954: «Umberto arrivò come l’angelo salvatore: aveva tutto quello che una ragazza può sognare, biondo, occhi azzurri, intelligente, colto, sportivo. Un nobile. Ero sinceramente innamorata: abbiamo fatto cinque figli insieme, se avessi voluto il patrimonio dei Marzotto, un figlio solo sarebbe bastato, o no?» scrive.

Sì, sarebbe bastato. E ne ha già tre nel 1960 quando incontra Renato Guttuso. Ne diventa la modella di elezione, ma il loro è un amore tempestoso e insolente, sovversivo per l’epoca. Tanto più che il matrimonio non finisce, anzi. Nascono altri due figli: l’ultimo, Matteo, nel 1966. E tanto più che tra il pittore comunista e il marito inserisce anche la relazione con Lucio Magri, intellettuale comunista, fondatore de il manifesto, allora compagno di Luciana Castellina. «Era un formidabile rivoluzionario da salotto. Colto, un grande intellettuale e bellissimo, uno degli uomini più belli. Fu di un’abilità diabolica nell’accendermi. È durata dieci anni: lui in fondo amava solo se stesso, il resto era tutta una posa plastica», ricorda lei con un po’ dell’ingenerosità giustificata dalla ferita che le lascia la fine della storia. Ma non rinnegherà mai l’amore per i suoi tre uomini. «Il fascino di Umberto. La fantasia di Renato. La stronzaggine di Magri», ne scriverà in sintesi in Una finestra su Piazza di Spagna. La mia Vita (SugarCo, 1990), sempre dichiarandosi una donna fedele.

«Si può amare contemporaneamente, a patto di essere fedelissimi nei sentimenti», uno dei suoi motti. Alla fine, nel 1986 arriva il divorzio, un anno prima della morte di Guttuso, l’uomo che ha amato ma che le viene vietato di incontrare prima di morire. Ovviamente, da maschio Guttuso fu giudicato molto meno severamente per questo amore fuori dal matrimonio. Dicono le fonti ufficiali, stilate nientemeno che da Giulio Andreotti, che Guttuso non volle più vedere Marta dopo la morte di sua moglie Mimise. Una scusa ipocrita che ferì Marta ma non la sconfisse: anche le vicende giudiziarie con l’erede del pittore non l’hanno abbattuta. Chi, come lei, ha capito fin da ragazza che le donne, comunque vada, sono un incidente della storia, non si lascia mettere in un angolo. Dove non sarà ristretta neanche da quest’ultimo, decisivo finale della sua storia.