Una veloce ma fortunatamente pacifica escalation di eventi sta investendo la politica dell’Irlanda del Nord, in attesa delle elezioni del 2 marzo dovute alle dimissioni unilaterali del co-premier Martin McGuinness dal governo misto, un esecutivo che unisce membri dei maggiori partiti delle due comunità principali.

McGuinness, affetto da un grave male, ha annunciato il ritiro dall’attività politica dopo decenni di attivismo, prima nei ranghi dell’Ira e poi nell’agone politico; ma soprattutto dopo aver occupato ruoli governativi chiave in Irlanda del Nord.

Verrà sostituito, nel ruolo di leader di Sinn Féin per il Nord, da Michelle O’Neill, 40 anni, probabile candidata a co-premier, qualora il suo partito uscirà vincente dalle elezioni; e sempre che decideranno di nominare qualcuno per quel ruolo, dopo aver dichiarato che, dato lo stallo attuale, non è possibile un semplice ritorno allo status quo.

Sinn Féin rivendica infatti pari diritti e pari opportunità rispetto al suo principale antagonista, il Democratic Unionist Party, investito da scandali di natura varia, e piuttosto ostile ad accettare di porsi su uno stesso piano di uguaglianza con i principali interlocutori della comunità nazionalista.

All’interno di Sinn Féin, il passaggio di testimone da McGuinness a O’Neill avviene all’insegna di un ricambio generazionale inevitabile, che porterà prima o poi anche Gerry Adams, presidente e responsabile del partito per la Repubblica, a fare un passo indietro, probabilmente a favore di MaryLou MacDonald. Due donne, a nord e a sud dell’isola, che ben presto guideranno il principale partito della comunità repubblicana nel cui statuto è previsto nero su bianco l’obiettivo dell’Irlanda unita. Adams è stato chiaro a riguardo: «Non esiste un’Irlanda libera senza la libertà delle donne».

Nel convegno sulla United Ireland tenutosi a Dublino la settimana passata Adams ha usato parole forti anche nei confronti dei destini del processo di pace, in stallo oramai da molti mesi. Secondo il presidente di Sinn Féin «l’intenzione del governo britannico di far uscire l’Irlanda del Nord dall’Europa, nonostante la volontà della popolazione di rimanere, è un atto ostile. Non solo a causa delle implicazioni di un confine vero e proprio all’interno dell’isola, ma per l’impatto negativo sul processo di pace inaugurato dagli Accordi del Venerdì Santo».

Ha poi spiegato che l’intenzione di Theresa May di non accettare la giurisdizione della corte europea di giustizia, e di rinunciare alla convenzione europea sui diritti umani, rischia di minare gli elementi fondanti gli Accordi di Pace.

Il governo inglese, tramite un portavoce, ha negato possibili conseguenze negative per il peace process, dichiarandosi senza remore a favore degli accordi, inclusi quelli relativi ai diritti umani. Ha poi specificato che Brexit non comporterà in alcun modo un ritorno ai confini del passato.