Nel 1964 due psichiatri della clinica londinese Tavistock, Ronald D. Laing e Aaron Esterson danno alle stampe uno studio sulla schizofrenia femminile che sarà pubblicato in Italia nel 1970 da Einaudi col titolo Normalità e follia nella famiglia. Nel loro studio Laing ed Esterson presentano 11 casi di donne la cui condizione di disturbo psichico classificata come «schizofrenia», o – per usare un termine alternativo per questa condizione già individuato da Laing in una sua precedente opera – «io diviso», non è una patologia endogena, che scaturisce da difetti o problemi all’interno della persona colpita, ma al contrario deve essere vista come una risposta apparentemente aberrante alla condizione di stress sociale e specialmente familiare, una risposta di rottura alla contraddizione del meccanismo del «doppio legame» (formalmente ti lodo ma implicitamente ti condanno) già studiato da Gregory Bateson. In particolare la situazione di stress ed il meccanismo del doppio legame colpiscono l’elemento femminile più fragile all’interno del nucleo familiare, incrinando l’autostima e mandando in pezzi l’identità, che viene appunto vissuta come frammentata e contraddittoria. Un altro psichiatra inglese – anche se di origini sudafricane – David Cooper portò all’estrema conclusione tali premesse teorizzando la «morte della famiglia» e l’uccisione della figura interiorizzata dal padre come strumento di perpetuazione di un potere dispotico e maschile.

In questo scenario teorico è possibile collocare nientemeno che un nuovo videogioco: The Town Of Light, sviluppato dall’italiana LKA e distribuito per PC dalla piattaforma Steam e in corso di conversione per Xbox One. Per questo videogioco – che può essere considerato un «serious game» che non ha solo un valore di sperimentazione intellettuale, ma che approda anche all’esito commerciale con tanto di distribuzione internazionale – sono state condotte approfondite ricerche sia sulla struttura del vecchio manicomio dismesso ed abbandonato di Volterra, sia sulla documentazione relativa ai pazienti ed alle terapie in uso al suo interno. The Town Of Light porta il giocatore a fare una visita all’interno del manicomio sulle tracce di una ragazza sedicenne, internata nella struttura nel 1938: Renèe. Figlia di madre non sposata, Renèe inizia a dare segni di squilibrio tramite reazioni violente, linguaggio osceno ed inappropriato, denudandosi in pubblico. Una volta nel manicomio progressivamente la sua condizione degenera, anche per gli abusi sessuali a cui viene sottoposta da parte del personale, fino a sfociare in una condizione per cui le viene prescritta prima la terapia dell’elettroshock e poi quella della lobotomia. Il giocatore però sperimenta solo di riflesso le vicende di Renèe, perché il gioco gli fa invece indossare i panni di un’anonima visitatrice attuale del manicomio, che vaga tra i suoi recessi in rovina alla ricerca degli indizi della presenza della giovane del secolo precedente. Ma ben presto gli indizi si tramutano in ricordi, i ricordi in allucinazioni, il presente in passato. E il giocatore non sa più se sta guardando attraverso gli occhi dell’anonima visitatrice del 2016 o attraverso quelli della Renèe del ’38 sperimentando in questo modo una simulazione videoludica della frammentazione dell’identità che vive lo schizofrenico.

Da segnalare che l’assenza della figura paterna si trasforma nella storia nel videogioco nella creazione di un «rimosso» che ritorna in ogni figura maschile, che possiede sessualmente Renèe con la violenza o che la «punisce» per il suo essere «cattiva» con l’elettroshock prima e la lobotomia poi. L’unica figura, anche sessualmente, positiva è un’altra paziente, Amara, con cui Renèe costruisce un rapporto di amicizia e d’amore, rapporto non a caso sanzionato dal complesso psichiatrico con la violenta sottrazione dell’amica.
La realtà psichiatrica descritta nel gioco potrebbe sembrare una rappresentazione, per quanto accurata, di un passato oggi ampiamente superato. Eppure il meccanismo della famiglia come perpetuazione dei meccanismi del potere si vede in atto nelle difficoltà insuperate che ha affrontato la legge sulle unioni civili, si vede nel fenomeno della violenza sulle donne e del femminicidio in cui il maschio spodestato dalla propria centralità familiare da figure femminili sempre più consapevoli e meno fragili non trova altra via che quella della sopraffazione fisica. Eppure il meccanismo della malattia mentale non è meno rimosso per il solo fatto che ai muri dei manicomi si sono sostituite le barriere chimiche e farmacologiche.

Tutto ciò fa di The Town Of Light non solo un videogioco – per quanto sia un bel videogioco, angosciante e graficamente curato – ma anche un’occasione per discutere e riflettere, oggi, sulla malattia e sul disagio mentale.