Si festeggiano ormai sette anni dall’uscita della serie Il cibo dell’anima di Piero Cannizzaro, documentari che hanno avuto la più larga diffusione nelle università, nelle manifestazioni e in diverse occasioni e che ancora oggi continuano ad essere richieste, anticipando di gran lunga le tematiche dell’Expo. Il regista è entrato con passo leggero e mai invadente in diversi luoghi di culto, anche dove prima non era possibile accedere, come in un convento di clausura, o dove la riservatezza estrema è il costume, o nelle comunità valdesi, dove la tradizione orale è segreta come in quella ebraica, tra i poco conosciuti Sik, nelle comunità buddiste. La sua ricerca della spiritualità trova giusta forma in un linguaggio composto e capace di entrare in dettagli segreti. «Il cibo dell’anima» è una serie che non finisce di interessare e che non invecchia, costituisce un momento di aggregazione e di riflessione. Così i prossimi appuntamenti sono: il 3 giugno alla Cineteca di Venezia, il 4 giugno al Centro Candiani di Mestre, il 17 giugno nel corso della rassegna estiva in arena «la Casa S-piazza» della Casa delle donne a Roma con l’episodio dedicato alle suore di clausura e il 24 giugno nel corso delle proiezioni «L’arena dentro/fuori le sbarre» dedicato alle carceri, spazi, culture religioni per ricordare che la Casa delle donne si trova nell’ex reclusorio femminile del Buompastore), con la partecipazione dei fratelli Taviani, Ivano De Matteo, la proiezione del suo documentario «Ossigeno».

È un vis à vis senza mezzi termini sulla vicenda di reclusione e redenzione di Agrippino Costa, un argomento assai diverso, ma realizzato con la stessa capacità di cogliere i pensieri più segreti, che viene richiesto anche questo nelle università e nelle carceri e innesca dibattiti e riflessioni. «Il cibo dell’anima ha avuto una diffusione molto varia, dice Cannizzaro, c’è appena stata la proiezione al centro diocesano di Parma, con un grande coinvolgimento di pubblico multietnico, organizzata nella chiave del dialogo e della conoscenza. E dopo le discussioni spesso arriva il momento delle portate di cibo provenienti da varie culture. Ho girato con l’associazione Libertà e Giustizia di Zagrebelsky per i licei di Roma per parlare della laicità come elemento per interagire con le religioni. Il mio percorso è stato così: io mi avvicinavo alle religioni attraverso il cibo che era trasversale senza avere pregiudizi. Per me prima venivano le persone e poi le religioni.

A Parma era organizzato da un movimento cattolico molto avanzato, in cui hanno invitato persone appartenenti a religioni presenti intorno a Parma. Anche alla Casa del Cinema, quando è stato presentato la prima volta c’erano le rappresentanti femminili delle varie religioni. «Il Cibo dell’anima» viene letto o per il cibo, ma è la parte minoritaria, o per la laicità o per la spiritualità: nel documentario c’è di tutto, la spiritualità di Osho, che è una spiritualità senza religione, gli ebrei con le loro regole, i valdesi con i loro problemi con i cattolici». Nella prima parte, ricordiamolo, gli episodi parlano di ebraismo, Islam, Buddisti, Sik, nella seconda: Valdesi, suore di clausura, Osho. Altri appuntamenti saranno il 18 giugno tra Reggio e Mantova organizzati con Slow Food, a fine giugno all’Expo in un convegno organizzato dalle città slow dove si parlerà diffusamente di cibo, lentezza, cinema e poi a settembre, alla Casa delle donne ci sarà un secondo appuntamento. Tra gli appuntamenti più interessanti avuti finora c’è stata l’anticipazione dell’Expo con gli appuntamenti chiamati «Aperitivo Expo» tenuti nell’aula magna della Statale di Milano con il preside della facoltà di Scienze politiche, dal titolo «Nutrire l’anima, regolare il cibo e ordinare la vita», alla rassegna «Comportamenti umani» a Lodi con Bonito Oliva e Daverio in programma, «Herbaria» a Pescara in un bellissimo chiostro, in un convegno legato all’etica e il cibo, accompagnato dal concerto di Nicola Piovani, Carlo Verdone e Milena Vukotic, a Milano all’Oberdan e poi al «Centro Coscienza», un centro spirituale laico fondato negli anni ’20.

«Quello che mi piace di questo lavoro è che tocca varie sensibilità e in questo mi riconosco molto. In questi momenti di grandi problematiche c’è gente che lavora nella direzione di apertura, rispetta le culture e le sensibilità. Tutti questi incontri mi hanno confermato nell’idea che c’è spazio per tutti, l’importante è saper ascoltare l’altro e cercare di imparare dall’altro perché l’altro è una parte di noi che non conosciamo. È come quando parliamo con un amico che ti fa vedere un altro punto di vista e ti fa conoscere qualcosa che ignoravi di te stesso». Gli chiediamo se ha in mente di continuare la serie: «A me non piace mai dare troppa serialità, anche se ci sono piccole comunità degne di attenzione. Dopo quello ho girato «Le città slow» ed ora ho un altro progetto legato al riciclo dal titolo Mondo riciclato, sempre partendo dal tema del cibo. Anche se mi sarebbe piaciuto andare nelle comunità, stare dieci giorni con loro, ma non voglio neanche esaurire tutto l’argomento. Rivendico la mia intuizione che deriva dal fatto che negli anni ’70 come quelli della mia generazione ho frequentato l’Oriente, quindi ero affascinato dalle culture altre, ne ero affascinato. Tutto è nato dal mio documentario Storie di dolci, quando ho portato Maria Grammatico e l’ho riportata nel convento dove era stata suora di clausura e poi era riuscita a «fuggure e a mettere su una pasticceria perché era diventata esperta dopo aver nel corso degli anni «rubato» i segreti delle suore. E lì nel convento di clausura mi era venuta l’idea, mi interessava parlare di spiritualità nel senso più lato, che vuol dire non credere o non credere, ma avere un senso della vita non banalmente materiale. E sono contento di averlo fatto in un periodo in cui di cibo non si parlava proprio». Piero Cannizzaro è un anticipatore, così come in tanti documentari sui musicisti e la musica da La notte della taranta a Ritorno a Kurumuny, quando il Salento era terra sconosciuta, il Piemonte Occitano, con la serie delle città sotterranee, le gallerie segrete che corrono sotto le metropoli, un documentarista solitario che ha cercato di riprendere luoghi dove apparentemente non si vede nulla, come i corsi d’acqua, il viaggio verso le isole, o dove la mente non arriva, come quel lontano ritratto Nello spazio di Clarke, realizzato nel 1980, girato in Sri Lanka sullo scrittore di 2001 Odissea nello spazio.