Nei giorni scorsi il governo Netanyahu è stato contestato ai raduni di protesta contro i coloni ebrei che hanno ucciso il piccolo Ali Dawabsha a Kfar Douma. Ed è stato criticato anche alla commemorazione a Gerusalemme di Shira Banky, la 16enne accoltellata a morte la scorsa settimana da un religioso ebreo durante la Gay Parade. Eppure l’esecutivo di destra israeliano, aperto sostenitore della colonizzazione dei Territori palestinesi occupati, figura ora tra le “vittime” di quanto è avvenuto negli ultimi cinque giorni. Secondo i servizi di sicurezza israeliani (Shin Bet), gli attivisti del gruppo ebraico “Price Tag” (Prezzo da pagare), intenderebbero rovesciare l’esecutivo, al fine di stabilire un nuovo regime basato solo sulla legge ebraica. Anche per questa ragione Netanyahu domenica ha deciso un atto di forza, annunciando che contro gli estremisti ebrei potrebbe essere usata la “detenzione amministrativa”, una misura preventiva impiegata sino ad oggi contro i palestinesi e che prevede il carcere senza processo.

 

I dubbi sulla serietà del provvedimento non mancano. «Voi credete che Bibi (Netanyahu) demolirà le case delle famiglie delle persone che hanno compiuto l’attacco a Kfar Douma? Andranno a richiedere i campioni del Dna di tutti i maschi della colonia (da cui provengono gli assassini) come fanno con i palestinesi?», ha commentato con ironia il deputato arabo israeliano Ahmed Tibi.   Peraltro non si capisce come poche centinaia di fanatici – perchè questo sarebbe il numero delle “mele marce” – potrebbero rovesciare il governo e realizzare un colpo di stato. Infine, particolare non secondario, si sa da anni che una corrente degli ultranazionalisti religiosi che popolano le colonie vagheggia l’instaurazione di un Regno di Israele, fondato solo sulla legge ebraica.

 

Si vedrà cosa accadrà sul terreno. Al momento, riferisce l’associazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, è noto che appena l’1,9% delle denunce dei palestinesi contro gli attacchi dei coloni si è tramutato in rinvii a giudizio e in condanne. Senza dimenticare che in questi giorni sul web si sono moltiplicate le proteste degli israeliani che contestano la linea “dura” del governo verso la destra estrema e le correnti più oltranziste del movimento dei coloni. Il capo dello stato Reuven Rivlin si è rivolto alla polizia affinchè indaghi sulle minacce di morte espresse nei suoi confronti su Facebook dopo che aveva parlato di «terrorismo ebraico», commentando l’uccisione di Ali Dawabsha e l’attacco al Gay Pride. «Traditore puzzolente – ha scritto qualcuno – Farai una fine peggiore di Ariel Sharon (rimasto in coma per anni a causa di un ictus, ndr)». Un altro si è augurato che emerga presto un nuovo Yigal Amir, il responsabile dell’assassinio venti anni fa del premier laburista Yitzhak Rabin. E che nulla sia cambiato da allora lo dice proprio la figlia di Rabin. «Vedere sul web l’immagine di Rivlin con una kefiah araba mi ha rivoltato lo stomaco…attenzione le parole possono uccidere», ha avvertito Dalia Rabin ai microfoni della radio militare, ricordando il clima di odio e le accuse di tradimento rivolte al padre che aveva osato restituire ai palestinesi piccole porzioni di Cisgiordania. Un’atmosfera alla quale contribuì in qualche modo anche il capo dell’opposizione di destra, oggi primo ministro, Benyamin Netanyahu. Tanto che la famiglia di Rabin si rifiutò di accettare le sue condoglianze.

 

Comunque sia le rivelazioni sul “complotto” contro il governo fatte dai servizi segreti hanno contribuito ad allentare le pressioni sul governo e a mettere il premier Netanyahu sotto una luce più positiva, quindi in grado di contrastare l’Autorità nazionale palestinese e la Giordania d’accordo ad inviare il testo di una bozza di risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che chieda protezione internazionale per i civili sotto occupazione militare. L’ambasciatore palestinese in Giordania, Atallah Khairi, ha spiegato al quotidiano al Ghad che la mossa è una risposta al rogo doloso della casa di Kfar Douma in cui è morto Ali Dawasba. Secondo i dati dell’Onu dall’inizio del 2015 sono stati almeno 120 gli attacchi dei coloni israeliani contro i palestinesi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. L’Anp inoltre starebbe riconsiderando gli accordi economici, amministrativi e di sicurezza con Israele, in linea con una risoluzione approvata nei mesi scorsi dal Consiglio centrale palestinese ma mai attuata dal presidente Abu Mazen. Infine si è appreso che il ministro degli esteri dell’Anp Riyad al Malki è partito per Ginevra dove richiederà al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite l’attuazione nei Territori palestinesi della Quarta Convenzione di Ginevra che, adottata nel 1949, tutela i civili durante i conflitti armati e le occupazioni militari.