L’ambasciatore degli Stati Uniti a Tel Aviv, Dan Shapiro, ieri mattina ha dato il suo personale “good morning” a Israele parlando ai microfoni di Galei Tzahal, la radio dell’esercito dello Stato ebraico. «Nessuno vuole un’operazione di terra e vogliamo che Hamas cessi di lanciare missili e razzi. In ogni caso, Israele ha il pieno sostegno americano», ha detto il diplomatico statunitense. Un via libera di fatto all’offensiva terrestre israeliana dentro Gaza che appena poche ore prima Barack Obama, almeno in apparenza, aveva cercato di scongiurare offrendo a Benyamin Netanyahu la mediazione americana per tentare di arrivare a un cessate il fuoco. Il “good morning” ai palestinesi invece è stata l’ennesima strage in una zona residenziale, a Rafah: una famiglia, la Ghannam, decimata da un missile ad alto potenziale. E poco dopo, con l’uccisione “mirata” di due attivisti di Hamas, si è appreso che il totale delle vittime palestinesi ha toccato quota cento, a sera i morti sono saliti a 105 e si temeva un ulteriore aggravamento del bilancio durante la notte quando più intensi si fanno i bombardamenti aerei israeliani.

 

Nessuno si fa illusioni tra i palestinesi di Gaza, l’attacco di Israele con mezzi corazzati e truppe ormai è deciso. D’altronde non lasciano spazio alle interpretazioni le parole pronunciate ieri da Benyamin Netanyahu. «Nessuna pressione internazionale ci impedirà di agire contro i terroristi a Gaza. Soppesiamo tutto, ci prepariamo a tutto. L’esercito ha avuto ordine di tenersi pronto…Il popolo israeliano sa che la mia prima preoccupazione è riportare la calma. Farò tutto il necessario per raggiungere questo obiettivo», ha avvertito Netanyahu. Qualche ora prima il capo di stato maggiore Benny Gantz aveva spiegato che l’esercito ai suoi ordini ha bisogno «solo di una direttiva politica» per dare inizio all’invasione di terra. «Gaza sta affondando in un disastro. L’attacco dall’aria – ha detto – è eccellente e l’intelligence sta lavorando bene». Dura la replica di Hamas che per bocca di uno dei suoi fondatori, Mahmud a-Zahar, ha fatto sapere di essere pronto a combattere per mesi e che un cessate il fuoco dovrà rispettare le sue condizioni, come la rimozione del blocco di Gaza e la liberazione dei palestinesi arrestati il mese scorso da Israele dopo il rapimento dei tre ragazzi ebrei.

 

Yusef Hamdouna, un giovane operatore umanitario che lavora per la ong siciliana Ciss, non ha avuto bisogno di ascoltare le parole di Netanyahu, Gantz e Zahar, per capire come si stanno mettendo le cose. Ha già provveduto a spostare la sua famiglia da Jabaliya a Karameh, dal nord di Gaza a una zona più centrale Gli appelli alla calma sono incessanti, a non abbandonare le abitazioni. La gente però ha paura. «La cosa che ci preoccupa di più è l’attacco via terra – ci spiega Yusef – ricordiamo i giorni dell’operazione “Piombo fuso” (2008-2009) quando gli israeliani entrati via terra hanno combinato una marea di massacri. La gente che usciva con la bandiera bianca e voleva solo evacuare la casa, veniva uccisa. I padri davanti ai figli e viceversa». Yusef precisa che le telefonate di avvertimento fatte dagli israeliani sono avvenute a Beit Lahiya e Beit Hanun, due città più a ridosso del confine. «Nel momento in cui sono arrivate lì anche noi di Jabaliya abbiamo cominciato a preoccuparci. Siamo nella stessa zona. Non abbiamo avuto scelta se non quella di allontanarci da quell’area che probabilmente sarà invasa dagli israeliani».

 

Allontanarsi ma non certo da Gaza. Se un palestinese volesse lasciare la Striscia per sottrarsi alla guerra, comunque non potrebbe farlo. La gente di Gaza non può andare da nessuna parte, è prigioniera nella sua terra, non può uscire e spostarsi in un altro Paese. Ad accrescere ieri sera le paure dei civili c’erano anche gli avvertimenti inviati dai militari israeliani, seguiti, secondo testimoni palestinesi, dal lancio di razzi da parte di un drone, all’ospedale Wafa di Shujayeh, un popoloso quartiere orientale di Gaza city. All’interno si trovavano anche attivisti internazionali dell’Ism, decisi a proteggere l’ospedale da nuovi attacchi. Da parte del portavoce militare israeliano non è giunta alcuna conferma o smentita dell’attacco all’ospedale, almeno fino a ieri sera.

 

Tutto lascia immaginare una operazione di terra dagli effetti persino più devastanti di quella aerea in corso da cinque giorni. I comandi militari israeliani, secondo le indiscrezioni che circolano, intenderebbero creare una vera a propria zona cuscinetto dentro Gaza, a ridosso dei centri abitati, presidiata da carri armati e truppe scelte per almeno un mese. Inoltre provvederebbero con l’impiego dei mezzi corazzati a tagliare in due la Striscia. Riportandola ai tempi del posto di blocco di “Abu Holi”, nei pressi di Khan Yunis, che fino al 2005 (anno dell’evacuazione di coloni e soldati israeliani da Gaza) spaccava a metà il piccolo territorio palestinese. Anche in previsione di questi scenari che metterebbero fortemente a rischio i civili palestinesi, Navi Pillay, l’Alto commissario Onu per i diritti umani, ieri ha condannato le operazioni militari israeliane in corso, esprimendo «seri dubbi sul fatto che siano conformi al diritto internazionale umanitario». Abbiamo ricevuto, ha denunciato Pillay, «indicazioni profondamente inquietanti che molte delle vittime civili, tra cui dei bambini, si sono verificati nell’ambito di attacchi ad abitazioni», ha detto Pillay. Prendere di mira abitazioni civili è una violazione del diritto internazionale umanitario a meno che tali strutture non vengano usate a scopi militari. E in caso di dubbio, gli edifici utilizzati per scopi civili, come le case, non devono essere considerati obiettivi militari legittimi. Inoltre, anche quando appare che un’abitazione è usata per scopi militari, qualsiasi attacco deve essere proporzionato. Pillay ha condannato apertamente anche il lancio di razzi palestinesi verso i centri abitati israeliani.