Il primo messaggio lanciato poco dopo mezzogiorno su Nina – l’app della protezione civile per la gestione degli eventi catastrofici – restituisce il grado di allarme delle autorità federali: «Tenete le finestre chiuse. Non uscite di casa» è il consiglio-ordine impartito ieri a centinaia di migliaia di berlinesi residenti nei quartieri Ovest fra Spandau e Potsdam. Segue la spiegazione dei vigili del fuoco, ancora più inquietante: «Sta bruciando un edificio che contiene sostanze chimiche tra cui acido solforico e cianuro di rame».
Nel cielo, visibile ormai in tutta la città, si allunga la gigantesca nube nera prodotta dall’incendio che non ha investito un normale «edificio» bensì la più nevralgica fabbrica di armi della Germania che corrisponde anche allo stabilimento oggi più importante per l’Ucraina.

AD ANDARE a fuoco nel rione Sud-Ovest di Lichterfelde, al confine con il Brandeburgo, sono nientemeno che i mega-capannoni del costruttore d’armi Diehl, produttore dei sofisticati sistemi di difesa aerea made in Germany tra cui il celebre Iris-T.
Sul posto a sirene spiegate oltre 190 mezzi dei vigili del fuoco, comprese le autopompe del vicino aeroporto internazionale Willy Brandt allertate dopo che nelle prime cinque ore di operazioni non è stato possibile spegnere le fiamme. «Andremo avanti tutta la notte» confermano i pompieri mentre il furgone rilevatore di fumi tossici continua a battere le principali arterie e la municipalizzata dei trasporti devia le linee di metro e bus il più lontano possibile.

Nell’aria, insieme ai fumi nocivi, rimane sospesa la domanda politicamente non meno tossica, obbligata allo luce dello scenario di guerra come minimo contemporaneo all’incidente. Si tratta di un sabotaggio dei russi?
«Al momento non possiamo stabilire alcuna causa per l’incendio» taglia corto la nota ufficiale, guardandosi bene dal menzionare le decine di agenti dei servizi di intelligence tra cui spiccano il Bnd estero e il servizio militare Mad già al lavoro per vagliare l’ipotesi che fa tremare i polsi al ministro della Difesa Boris Pistorius quanto allo stato maggiore dell’esercito ucraino mai così appeso all’invio di missili anti-aerei.

L’UNICO DATO incontrovertibile per adesso è che lo stabilimento Diehl di Berlino è distrutto. Nell’impossibilità tecnica di spegnere il rogo, i vigili del fuoco hanno lasciato bruciare i quattro piani della fabbrica fino al crollo delle strutture portanti. Danno da milioni di euro per il costruttore di armamenti ma anche devastante colpo all’immagine del governo, in particolare del cancelliere Olaf Scholz il cui volto spicca nei cartelloni Spd per le Europee affissi in questi giorni (anche) nei quartieri avvolti dalla nube tossica con lo slogan: «Pace in sicurezza».
La rassicurante promessa sembra collimare assai poco con il report di Adrian Wentzel, portavoce dei vigili del fuoco di Berlino, indicante il rischio che ieri l’incendio abbia potuto formare «una nuvola di acido cianidrico», come del resto dimostrano le speciali tute produttive fatte indossare ai pompieri fin da subito.

IN BUONA SOSTANZA, al di là dell’eventuale dolo e dei danni materiali, il rogo della fabbrica del produttore dei missili Iris-T è comunque destinato a impattare sull’opinione pubblica tedesca già poco entusiasta del doppio record fatto registrare dal Paese divenuto ormai il primo partner di Kiev in Europa sia sotto il profilo economico che militare.
«Ringrazio la Germania per le nuove forniture, tra cui lo scudo aereo che salverà molte vite» diceva il presidente ucraino Volodymyr Zelensky appena tre mesi fa, salutando così l’imminente arrivo dei missili Diehl.