Verso le 8 di sera quando migliaia di persone erano già radunate a piazza Syntagma ad Atene, di fronte alla Torre bianca a Salonicco, in tutte le città dal nord al sud, quando era quasi sicura la vittoria netta del «no», a Megaro Maximou, sede di governo le riunioni erano continue. Alexis Tsipras insieme ai suoi più stretti collaboratori, i ministri Alekos Flabouraris, Nikos Pappas, stava esaminando la strategia dei prossimi giorni.

Il clima era positivo e la soddisfazione era più che evidente. Nonostante la campagna di intimidazione e di terrorismo promossa dai canali privati e le minacce dei leader europei, la maggioranza dei greci ha bocciato i due documenti dei creditori intitolati «riforme per il completamento dell’attuale programma» e «analisi preliminare per la sostenibilità del debito».

Alexis Tsipras cinque mesi dopo la vittoria di Syriza alle elezioni e nonostante le pressioni, le polemiche, le minacce e gli errori, non solo ha retto, ma ha stra vinto. Con il 60% dei voti riconferma la sua popolarità.

Tra i conservatori, invece, sono aperti gli otri di Eolo. La strategia del timore applicata dai partiti pro-memorandum ha perso in blocco. L’ex premier, Antonis Samaras, leader della Nea Demokratia, si è dimesso nella serata di ieri, provocando una marea di reazioni. La leader del Pasok, Fofi Genimata ha chiesto che «Alexis Tsipras deve realizzare l’accordo al più presto possibile», e simile era la dichiarazione del leader del Potami, Stavros Teodorakis. Per il segretario del Kke, Dimitris Koutsoubas, «con il no o con il sì, nulla cambia. Alternative non ci sono dal momento che qualsiasi accordo sarà al servizio del capitale e l’ austerità continuerà».

Il premier greco, parlando di fronte al suo popolo ieri, ha sottolineato ancora una volta la necessità di essere uniti in questi momenti difficili. «Da domani apriamo la strada per tutti i popoli d’Europa. Oggi la democrazia batte la paura» aveva dichiarato Tsipras uscendo dal seggio dove ha votato.

Verso le 9.30 di sera, nelle riunioni si è parlato dell’eventualità di un mini rimpasto governativo con la sostituzione del ministro delle finanze, Yanis Varoufakis. Tre sono i candidati alla carica del ministro delle finanze: il vice-premier Yannis Dragasakis, il ministro dell’economia, Yorgos Stathakis e Euclid Tsakalotos, capo-gruppo della squadra greca di negoziato, tutti provenienti dall’ala moderata di Syriza che si schierano a favore di un’intesa immediata con i creditori.

Alle 8 di mattina di lunedì il dado è tratto: Varoufakis si dimette per “aiutare” Tsipras nella trattativa, difficilissima, con le istituzioni.

Il ministro ormai ex, confessa di aver intuito una “certa preferenza per la mia assenza da parte di alcuni partecipanti all’Eurogruppo e partner assortiti”. Per questo, scrive sul suo blog in inglese, “lascio il ministero a partire da oggi, per aiutare Tsipras a raggiungere un accordo e a rispettare il mandato conferito al governo dopo il referendum”. “Porterò il disprezzo dei creditori con orgoglio”, è la stoccata finale dell’accademico di Syriza.

[do action=”quote” autore=”Yanis Varoufakis”]”Porterò il disprezzo dei creditori con orgoglio”[/do]

A Megaro Maximou ieri sera innanzitutto sono stati discussi i primi passi verso un’intesa con i partner europei. Il tempo stringe. A livello politico le trattative devono riprendere al più presto possibile, eventualmente anche oggi mentre la Bce dovrà decidere sulla liquidità delle banche elleniche. Per i moderati del governo Syriza-Anel il mandato è chiaro: concludere il negoziato al più presto possibile con un accordo per far risanare l’economia. Altri, invece, della sinistra radicale, dall’area Piattaforma di sinistra, hanno interpretato l’esito della consultazione come un forte mandato che potrebbe portare ad una rottura definitiva del negoziato con i creditori.

Alcuni media pure ieri pomeriggio ripetevano che «non è da escludere che Alexis Tsipras trova le porte chiuse a Bruxelles», ma per ora sono smentiti dai fatti. Il premier greco ha parlato ieri telefonicamente con il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker e il presidente francese, Francois Holland e il premier Matteo Renzi per la ripresa delle trattative, mentre Euclid Tsakalotos e il ministro, Nikos Pappas, braccio destro del premier e il capo-gruppo dei tecnocrati, Yorgos Chouliarakis sono già partiti stamattina per Bruxelles.

Il tempo stringe innanzitutto a livello finanziario. Per Yanis Varoufakis l’accordo è vicino, il vice-presidente del parlamento greco, Alexis Mitropoulos, ha detto ieri che «in base ad una sentenza del Tribunale europeo presa venerdì scorso la Bce deve garantire la liquidità delle banche greche a prescindere dell’ intesa tra Atene e creditori», ma non è affatto sicuro che Mario Draghi confermerà la liquidità di emergenza del programma Ela tanto desiderata da Atene. Tre sono gli scenari: secondo il primo, la Bce mantiene l’Ela agli attuali livelli (tra 89-90 miliardi di euro).

Il secondo scenario che parla di una restituzione dei prestiti dalle banche greche all’Eurotower, un’eventualità tutto sommato difficile per il momento; e il terzo scenario che parla di un aumento della liquidità.

Di fatto gli istituti di credito greci con i fondi europei già bloccati sono ad un passo dal fallimento. Il presidente dell’Associazione delle banche greche, Louka Katseli ha detto che «il limite ai bancomat (60 euro al giorno) sarà riesaminato martedì mattina tenendo conto della liquidità» che supera solo i 500 milioni di euro. In altri termini anche i bancomat rischiano di rimanere senza soldi, mentre i media parlano dell’eventualità di un taglio dei depositi bancari.

Nella tarda serata di ieri il vice-ministro dell’economia Nadia Valavani ha detto che «chi possiede casette di sicurezza non può prelevare denaro una volta che le banche aprono».