La lista delle persone coinvolte nel caso dei cosiddetti Panama papers, è lunga e interessa oltre 200 paesi: primi ministri, presidenti, re, calciatori, attori e amici dei potenti.

Si tratta di circa 11,5 milioni di documenti riguardanti 214.000 società off-shore, basate a Panama presso lo studio legale Mossack Fonseca.

Un anonimo dipendente della Mossack Fonseca avrebbe consegnato i documenti riservati al giornale tedesco Süddeutsche Zeitung che li ha condivisi con il Consortium of Investigative Journalists (Icij), che a sua volta si è rivolto a giornalisti di diversi paesi e testate per la verifica dei dati e la loro presentazione. Parte dei documenti è stata diffusa anche dal sito Wikileaks. Fra le testate figurano il Guardian e l’Espresso, che ha esaminato gli 800 nomi italiani citati: fra i quali spicca quello dell’ex presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, attuale presidente di Alitalia e vicepresidente di Unicredit.

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Una quantità di documenti – relativi all’attività della Mossack Fonseca dal 1977 all’anno scorso – superiore a quelli del Cablogate e del Datagate e che sta facendo altrettanto scalpore.

Il governo panamense si dichiara pronto a collaborare, quello italiano annuncia un’indagine, molti dei citati smentiscono, la Svizzera invece annuncia che non aprirà un’inchiesta. La Mossack Fonseca si difende: denuncia l’hackeraggio, dichiara di aver sempre rispettato le regole, ma aggiunge anche di non seguire direttamente quel che poi i suoi clienti fanno nelle società che crea. L’azienda – la quarta più importante al mondo nel settore – è basata a Panama, ma agisce in 42 paesi e impiega 600 persone. Secondo l’inchiesta diffusa domenica, oltre la metà delle società create dallo studio legale ha sede in qualche “paradiso fiscale”. Un procedimento lecito a condizione di dichiarare la propria ricchezza, ma spesso usato appunto per evadere il fisco o riciclare denaro.

L’inchiesta cita una dozzina di leader mondiali o loro parenti o intimi: dal presidente ucraino Petro Poroshenko, al primo ministro islandese Sigmundur Gunnlaugsson, alla sorella maggiore dell’ex re di Spagna Juan Carlos, passando per il defunto padre del Primo ministro britannico David Cameron e gli amici del presidente russo Vladimir Putin (ma per il Cremlino si tratta di uno scandalo inesistente, promosso contro Putin dalla Cia).

Per quel che riguarda l’America latina, compare Juan Armando Hinojosa, un imprenditore della cerchia del president Henrique Pena Nieto, il cui nome era emerso nello scandalo della villa della moglie di Nieto, presumibilmente acquistata con fondi pubblici mascherati. L’imprenditore avrebbe trasferito circa 100 milioni di dollari in una società dei Caraibi.

Dal Brasile, emergono soprattutto nomi legati al Pmdb, il partito ago della bilancia che la scorsa settimana ha abbandonato la coalizione governativa della presidente Dilma Rousseff. Figurano anche politici legati al principale partito di opposizione, il Psdb e quello di altri esponenti di vari partiti minori. A gennaio, la magistratura brasiliana ha sostenuto che la Mossack Fonseca avrebbe agevolato politici del Partito dei lavoratori, ma nessun nome compare in questi documenti, da cui emergono almeno 57 compagnie sotto inchiesta nella tangentopoli brasiliana.

Neanche il nome dell’ex presidente argentina Cristina Kirchner, sulla quale sono aperte diverse indagini, compare nei Panama Papers. In compenso, è presente l’attuale presidente, l’imprenditore Mauricio Macri. Insieme al padre Francesco e la fratello Mariano, Macri risulta coinvolto come amministratore dell’impresa Fleg Trading Ltd, non dichiarata fra le sue entrate fiscali. Macri sarebbe anche titolare di diversi conti negli Usa, di cui non ha specificato l’origine.

Fra i super ricchi, oggi residente nella Repubblica Dominicana, vi è anche un ex guardaspalle dell’ex presidente venezuelano Hugo Chavez, che avrebbe aperto un grosso conto alle Seychelles quattro giorni dopo l’elezione di Maduro.