Moda e sport sembrano a prima vista agli antipodi, una esprime l’eleganza l’altro l’essenza del movimento. Gli antichi Greci, inventori dei Giochi olimpici, avevano risolto il problema alla radice: gli atleti gareggiavano nudi. Cambiamenti significativi si hanno nel Medioevo, quando i tornei araldici, espressione di forza e occasione di scalate sociali e di potere tra i cavalieri, prevedono con le armature pesanti anche le maglie di un certo tipo, gli scudi con i simboli di appartenenza, gli stemmi, i drappi colorati sui cavalli, testimonianze semiologica di quel tempo. L’abbigliamento sportivo assume una specifica caratteristica tra il ‘600 e il ‘700, circoscritto alla caccia e al tiro con l’arco praticati dagli aristocratici, poi nella prima metà dell’800 si estende anche alle donne aristocratiche dal momento che la medicina igienista raccomandava il movimento. La pratica del tiro con l’arco non fa sudare, non ha bisogno di grandi movimenti, consente alle donne di conciliare pudore e sport, ma l’abbigliamento necessitava di modifiche, poiché la tensione dell’arco e lo schiocco della freccia richiedevano il movimento ampio delle braccia. Dunque, la parte superiore del corpo non poteva più essere ingabbiata nel corpetto.

A Parigi la mostra «Moda e Sport» da un podio all’altro al museo di Arti decorative fino al 7 aprile, traccia un percorso dal Medioevo a oggi. L’ abbigliamento sportivo delle donne in particolare, ha dovuto conciliare il pudore con la libertà del corpo in movimento, l’emancipazione femminile con l’essenza del movimento, le esigenze pratiche con i conflitti estetici.

La mostra, promossa in collaborazione con il Museo dello Sport di Losanna del Comitato internazionale olimpico ( Cio) in vista delle Olimpiadi che si svolgeranno a Parigi durante l’estate, si focalizza soprattutto sul ‘900, il secolo dello sport. I francesi rivendicano l’origine del termine sport che deriva dalla parola desport, ma è solo una delle probabili interpretazioni. Sul finire dell’800 le donne dell’aristocrazia vivevano le manifestazioni sportive come motivo di socializzazione, soprattutto in occasione dei primi incontri di tennis riservati agli uomini, ma all’inizio del nuovo secolo arrivarono a liberarsi parzialmente dell’abbigliamento e passarono a giocare anche loro al volano (oggi badminton), come Nausicaa con le sue compagne gioca a palla quando il naufrago Ulisse compare sulla spiaggia. Anche le escursioni in montagna e la caccia, due attività aperte alle donne aristocratiche, contribuirono a modificare l’abbigliamento di fine ’800. In quegli anni tuttavia, la vera svolta si avrà con il tennis, che richiede velocità e movimenti coordinati, e che aprirà quindi la strada a nuovi tessuti quali il percalle di cotone filato che caratterizzerà da questo momento le divise sportive delle donne.

Tra i cimeli in esposizione al museo delle Arti decorative, si possono vedere anche frame di partite di tennis femminili di inizio ’900, che dimostrano con quanta velocità e forza le donne maneggiavano la racchetta. Il caso più eclatante, che dimostra come forza ed eleganza nello sport si possano conciliare, è rappresentato da Susanne Lenglen, la tennista più famosa degli anni ’20, che al torneo di Wimbledon del 1924 indossa una tenuta sportiva disegnata da Jean Patou, a quei tempi famoso stilista e profumiere francese. Circa venti anni più tardi, al torneo di Wimbledon del 1949 la tennista Gussie Moran indossa una divisa di cotone sbracciata con un gonnellino disegnata dallo stilista Ted Tinling, il pudore che aveva condizionato l’abbigliamento sportivo sembra accantonato definitivamente, il corpo delle donne, almeno sulla terra battuta di Wimbledon, è più libero. Anche il ciclismo femminile e l’uso delle due ruote da parte delle donne per andare a lavorare in fabbrica contribuisce a demolire certa morale e a favorire un abbigliamento più agevole.

Se fino ad allora la tradizione aveva avuto la meglio sullo sport coprendo interamente, seppur con stile ed eleganza, sia il corpo degli uomini che delle donne, dal dopoguerra è lo sport a ribaltare i codici e ad avere un ruolo preponderante sulla moda, stimolando la ricerca nell’ambito dei tessuti che possano conciliarsi al meglio con la pratica sportiva. Il processo di democratizzazione dello sport, favorito dal maggior tempo libero delle classi lavoratrici, grazie all’industrializzazione diffusa e al boom economico, spinge gli stilisti a concepire capi sportivi per gli atleti ma destinati anche a un vasto pubblico. Vestirsi «sportivo-elegante» era un caposaldo che le nonne ci raccomandavano in quegli anni. La ricerca tecnologica al servizio dello sport, accentuatasi soprattutto nell’ultimo ventennio del secolo scorso, ha completato il quadro. Oggi sneakers, t-shirts, cappellini, piumini, felpe da boxeur, pantaloni della tuta riconoscibili da una griffe, vestono ragazzi delle periferie e giovani dei ceti sociali più alti. Gruppi giovanili si identificano indossando capi di un certo abbigliamento sportivo, altri vogliono distinguersi dalla massa indossando quelli di un marchio diverso. Ormai quasi tutti passano attraverso l’industria dell’ abbigliamento sportivo, sia gli «apocalittici» che gli «integrati», avrebbe detto Umberto Eco. E che dire delle migliaia di tifosi che al seguito delle squadre indossano le maglie delle loro compagini preferite, disegnate dai migliori stilisti del mondo?

Gli stilisti che hanno praticato sport a diversi livelli nella seconda metà del ’900 come Missoni, Lacoste, Cardin, Dior, hanno dato un contributo ulteriore al sodalizio moda e sport, perché hanno vissuto dall’interno lo sport agonistico. Oggi sono gli stessi campioni dello sport a comparire nelle sfilate di moda, a passare da un podio all’altro, come recita il sottotitolo della mostra parigina. Dal podio più alto, sembra dirci la mostra al museo delle Arti decorative di Parigi, moda e sport hanno raggiunto tutti, anche le banlieue di tutto il mondo.