La «fronda» contro la presidenza Hollande ha vinto il primo turno delle primarie del Parti socialiste: Benoît Hamon, della sinistra Ps, è arrivato in testa con il 36% e, con l’appoggio del terzo arrivato, Arnaud Montebourg (17%), domenica prossima avrà buone possibilità di sconfiggere al ballottaggio Manuel Valls, fermo al 31% e senza il sostegno dei piccoli candidati, a parte Sylvia Pinel (2%) del Parti radical de gauche. Il quarto arrivato, Vincent Peillon (6,8%), non si è pronunciato, l’ecologista François de Rugy (3,8%) aspetta per decidere e Jean-Luc Bennahmias (1%) divaga. Questo risultato, che ancora qualche settimana fa sarebbe sembrato sorprendente – Hamon era il «terzo uomo» considerato molto dietro Valls e Montebourg – molto probabilmente non servirà come trampolino per mettere in orbita la candidatura socialista alle presidenziali. Tra l’altro, ancora ieri pomeriggio, un giorno dopo il voto, non erano state comunicate le cifre definitive della partecipazione. Un «bug informatico», dei seggi che si sarebbero «fusi» e altre fumose spiegazioni, per nascondere non tanto brogli ma una grande confusione nell’organizzazione, nuova manifestazione della crisi del partito.

Le cifre parlano chiaro: al primo turno ha votato 1,6 milioni di persone, circa la metà delle primarie Ps del 2011 e un terzo rispetto a quelle della destra, nel dicembre scorso. Una partecipazione debole, al di sotto delle speranze.

Ieri, Martine Aubry e i suoi hanno dato il loro appoggio a Hamon. Il primo posto di Hamon, esponente dell’ala sinistra del Ps, strappa un sorriso a Emmanuel Macron, che spera di avere di fronte a sé un’autostrada attirando l’elettorato di centro e gli orfani di Valls (la destra sente il rischio e ieri ha auspicato la vittoria di Valls al ballottaggio di domenica prossima). La notizia è meno favorevole per Jean-Luc Mélenchon, che vede il suo spazio a sinistra della sinistra restringersi con le proposte di Hamon, che hanno messo al centro della discussione il reddito di cittadinanza, idea rifiutata dal leader della France Insoumise che ieri ha insistito soprattutto sulla scarsa partecipazione al voto, per screditare in anticipo il probabile rivale, sperando in un ritiro preventivo della candidatura Ps prima del primo turno delle presidenziali.

Le primarie del Ps hanno confermato l’erosione del vecchio partito, nato nel ’71 e che appare giunto a fine corsa: cannibalizzato da due ex socialisti, a destra Macron (che è stato molto brevemente iscritto al Ps, ma è stato ministro fino ad agosto) e a sinistra Mélenchon. Entrambi hanno scommesso su questa crisi, rifiutando di partecipare alle primarie della Bella Alleanza popolare.

Il primo turno delle primarie è servito però a chiarire lo scontro in corso nel Ps: due visioni ormai molto lontane tra loro si oppongono. Aubry, nell’appoggio a Hamon, ha dichiarato di sostenere «una sinistra solida sui suoi valori, lucida sulla sfida social-ecologica, portatrice di un’Europa rifondata e innovante su soluzioni d’avvenire».

Hamon ha attirato soprattutto il voto dei giovani e degli abitanti delle grandi città. Anche la banlieue parigina ha scelto Hamon (a parte le aree più borghesi, ovest della capitale e Hauts-de-Seine). Valls si è detto «colpito dai riferimenti a Jeremy Corbyn (leader del Labour), che ha fatto la scelta di restare all’opposizione, la sinistra deve rinunciare a governare?». Hamon ha ribattuto che le sue proposte «non hanno nulla di utopico, non voglio lasciare alle mie figlie un mondo invivibile nell’organizzazione del lavoro e nel quadro di vita».

Due visioni si lacerano all’interno del Ps, che Valls ha già definito «inconciliabili». Per l’ex primo ministro, le idee di Hamon sono solo «promesse irrealizzabili e non finanziabili», preliminari di una «sconfitta annunciata», contro le posizioni da lui difese di una «sinistra credibile», «di governo», seria sulla «riduzione del deficit».

Hamon è riuscito a mettere al centro del dibattito l’unica idea nuova che circola nel Ps: il reddito di cittadinanza, come risposta alla crisi del lavoro. A termine, 750 euro al mese per tutti, considerato da Valls un costo esorbitante (300-400 miliardi di euro), idea respinta anche da Mélenchon, che vi vede un attacco al welfare esistente. Hamon propone anche una riduzione del tempo di lavoro (32 ore), l’abrogazione della contestata Loi Travail, l’abbandono del Fiscal Compact e del 3% di deficit, la fine delle auto diesel entro il 2025, la depenalizzazione della cannabis, pene alternative alla prigione, una maggiore accoglienza dei rifugiati, il voto dei residenti extracomunitari alle elezioni locali, il riconoscimento della Palestina. La maggior parte di queste proposte sono contestate da Valls, che ha fatto una politica securitaria e pro-business e che ora promette tagli alle tasse per la classe media. Al «reddito universale» di Hamon, Valls risponde con il «reddito decente», versato dai 18 anni, ma solo a chi ne ha «veramente bisogno». L’ex primo ministro insiste sulla «sicurezza» e sulla lotta al terrorismo, accusando il rivale di debolezze verso il «comunitarismo». Hamon e Valls non sono invece molto distanti sulla critica all’Europa, sospettata di essere la porta aperta sulla mondializzazione.