Lo zoppicante governo catalano si regge sull’illusione di poter arrivare in tempi brevi all’indipendenza. Per la precisione, subito dopo aver celebrato un altro mitico referendum fra un anno, come ha promesso ieri il president Carles Puigdemont.

Se la saga socialista non gli avesse rubato la scena, ieri il tema del giorno sarebbe stato l’ennesima puntata della telenovela catalana. In un certo senso è stata ancora una volta una giornata «storica»: per la prima volta un presidente catalano nel pieno dei poteri si è sottoposto a una questione di fiducia. La decisione Puigdemont l’aveva presa a giugno, quando non era riuscito a far approvare il bilancio. I suoi, la coalizione Junts pel Sí, formata dai nazionalisti moderati di destra di quello che oggi si chiama Partito democratico catalano (ex Convèrgencia) e Esquerra republicana, erano andati sotto perché gli alleati anticapitalisti nazionalisti della Cup avevano votato contro. Secondo loro le previsioni di spesa non erano né sufficientemente «indipendentiste» né sufficientemente sociali.

Durante l’estate, Puigdemont aveva appianato le divergenze, e la Cup si era ammorbidita: al president è bastato dire che la Catalogna celebrerà «un referendum o un referendum» con o senza l’accordo di Madrid, per ottenerne il voto. È un deja vu: un referendum contro la volontà di Madrid si è già celebrato due anni fa, senza nessun effetto concreto, e gli strascichi legali di quella «consultazione» continuano anche oggi. Eppure a Puigdemont, senza neanche dover spiegare come riuscire dove il suo predecessore ha già fallito, è bastata la parola magica «referendum» per mettere d’accordo i nazionalisti di tutti i colori, e per ottenere persino un riconoscimento (ma non la fiducia) di Catalunya sí que es pot, il partito analogo a Unidos Podemos del parlament di Barcellona.

Ma è tutta una finta: Puigdemont ha cercato di spaventare la Cup dicendo che senza l’approvazione del bilancio che non si scomodassero, e Anna Gabriel, portavoce degli anticapitalisti, ancora una volta prevedibilmente gli ha fatto marameo. Di far deragliare il procés (così si chiama il cammino verso l’ipotetica indipendenza) la Cup non vuole la responsabilità. Del bilancio invece se ne riparlerà.

La palla è di nuovo nel campo di Puigdemont, che dovrà, come sempre, fare le acrobazie per tirare la corda, ma non troppo con Madrid (perché non chiudano il rubinetto), e allo stesso tempo fare dichiarazioni pompose a favore della repubblica catalana. Tagliando dove chiedono Bruxelles e Madrid, ma non troppo per non far mettere di traverso la Cup. Insomma, per ora non succede niente. La prossima puntata quando a Madrid ci sarà un governo.