Renzi si prepara al faccia a faccia decisivo con Juncker. L’obiettivo numero uno è evitare quella lettera di richiamo che potrebbe arrivare entro ottobre e che renderebbe molto più arduo il cammino della manovra e, di conseguenza, quello del referendum. Il summit non sarà risolutivo e la Commissione non si esprimerà ufficialmente prima della fine di ottobre. La trattativa è già in corso, con l’abituale scambio di lettere. La settimana prossima arriverà a Roma una «missione» incaricata di verificare lo stato delle riforme dettate dall’Europa ma, sia pur non ufficialmente, soprattutto di cercare una mediazione tecnica, prima che la palla passi alla Commissione. Ma sarà il colloquio tra il premier italiano e il presidente della Commissione Ue a dire quanto tesa sia la situazione e quanto se ne debba preoccupare palazzo Chigi.

Nell’incontro con gli europarlamentari del Pd, ieri, Matteo Renzi si è presentato a sciabola sguainata, denunciando la situazione dell’Europa come «la maggior preoccupazione del mondo». Tanto che secondo alcune ricostruzioni – smentite da palazzo Chigi – il premier avrebbe riferito che per Barack Obama il dossier più delicato che lascerà in eredità non sarà tanto la Siria, considerata una grave emergenza ma risolvibile, quanto l’Europa .

In ogni caso a sottolineare che l’origine di questa situazione sono le politiche rigoriste Renzi ci aveva già pensato da Washington, in tandem con il potente amico d’oltreoceano. Conclusione: «Serve una svolta sui parametri». La Ue non ha capito l’antifona neppure dopo la Brexit, avrebbe detto il segretario Pd alla sua eurotruppa. Per un po’, fino a Ventotene, è sembrato che i signori del rigore avessero visto la luce. Invece niente, tutto sembra tornato come prima. Ruggiti che vanno presi sul serio fino a un certo punto. Il premier italiano è consapevole di dover mediare ma è ovvio che non intenda farlo partendo da posizioni remissive. La voce alta inoltre gli serve per vellicare gli umori anti-europei dell’elettorato berlusconiano che, secondo i suoi strateghi, si rivelerà quello decisivo. La manovra di seduzione iniziata riscoprendo le meraviglie del Ponte sullo Stretto e proseguita portando agli elettori già di Silvio lo scalpo di Equitalia ha dato qualche frutto. Il Sì ha recuperato punti e gli stessi forzisti prevedono che una porzione sostanziosa del popolo azzurro si asterrà. Il che potrebbe non bastare: sfoderare grinta a Bruxelles potrebbe essere risolutivo.

Ciò non significa che Renzi sottovaluti il rischio di uno scontro frontale vero e non solo mimato con la Commissione. Non a caso i suoi tecnici stanno lavorando alacremente con la manovra fantasma. Il testo non è arrivato ieri alla Camera, come sarebbe stato d’obbligo, né arriverà oggi. Ma l’aspetto più inquietante è che anche a Bruxelles sarebbe arrivato un testo monco. Renzi vuole dunque evitare di scoprire tutte le carte prima del colloquio con Juncker.

Il governo italiano punta su una trattativa di piccolo cabotaggio, tutta centrata su un decimale in più o in meno e su singole misure. L’incubo è che invece la Ue sposti tutto sul piano strutturale, mettendo in dubbio la possibilità dell’Italia, per questa via, di raggiungere il pareggio di bilancio nei tempi fissati o sforando di poco. Non è facile che Bruxelles si muova in questo modo, sapendo quante difficoltà Renzi, «il male minore», incontra nel suo Paese e dovendo tener conto dell’appoggio Usa. Ma se per caso decidesse di farlo, per Renzi scoccherebbe l’ora della verità. Dovrebbe decidere se ingaggiare davvero con l’Europa quel braccio di ferro di cui sinora ha solo parlato.