Premessa obbligatoria: l’Emilia Romagna e la Calabria sono solo due regioni su venti, e neanche tanto popolose. Oggi al voto andranno – in teoria – 3.460.402 emiliano-romagnoli e 1.897.729 calabresi. In tutto poco meno di cinque milioni e mezzo di persone, più donne che uomini, un decimo degli elettori italiani. A rigor di numeri è appena un mini-test per il paese. Ma pesarne i risultati per leggere le tendenze nazionali, più che corretto, sarà inevitabile. Tanto più che il governo Renzi è arrivato al giro di boa di fine anno, data in cui il premier vuole portare a casa il core business delle riforme dei suoi mille giorni: il jobs act e l’Italicum. Ma il jobs act, che pure farà il pieno di voti a Montecitorio, ha ormai segnato uno spartiacque con una parte del paese. Quanto all’Italicum, ormai la commissione del senato – dove sono sfilati i protagonisti delle audizioni preliminari – non riesce più mettere la sordina alle critiche alla legge e alla sua inservibilità, almeno nel breve periodo e senza una legge per il senato. Il ricorso anticipato alle urne, la pistola carica del premier su alleati palesi e finti avversari, si svela sempre più per quello che è: un buon lavoro di spin più che una prospettiva.

Fine anno è anche la data in cui Renzi dovrà deporre il blasone di presidente di turno dell’Ue, e raccontare agli italiani cosa porta a casa la generazione Telemaco che ha preso il timone della nave Italia: le promesse modifiche delle regole del rigore non sono arrivate.

Infine, in vista dello sciopero generale del 12 dicembre, il premier ha impresso un’ulteriore impennata allo scontro con i sindacati, che «passano il tempo a inventarsi ragioni per fare scioperi», come ha detto proprio alla chiusura della campagna bolognese, provocando qualche perplessità anche nel suo stretto giro. La tecnica della selezione del nemico – comunicativamente parlando – per tenere alto il gradimento, dopo la lunga serie dai professoroni alla sinistra ’conservatrice’ ai governatori, comincia ad essere meno efficiente: così dicono i sondaggi. Il malcontento per gli scarsi risultati dell’azione di governo comincia ad affiorare, come i fischi a margine delle apparizioni in piazza. Insomma, da domani per Renzi inizia la stagione dei – primi, parziali, e tuttavia – bilanci.

Regionali, il tasso del renzismo
In entrambe le regioni il Pd è più che favorito, nonostante in Emilia Romagna i 41 consiglieri uscenti indagati per l’indagine sulle «spese pazze» (il centrosinistra ne ha ricandidati quattro) e l’assuefazione alla vittoria dopo il decennio Errani non invoglino l’elettore a ritrovare le urne; lo stesso in Calabria, regione che torna al voto in anticipo per l’interdizione dai pubblici uffici del presidente Scopelliti (Ndc) condannato a sei anni per abuso d’ufficio quand’era sindaco a Reggio; e però il Pd non ha disdegnato di caricarsi qualche vecchio personaggio dello scopellitismo. Il numero da tenere d’occhio, in entrambi i casi, è quello dell’affluenza alle urne. Sarà quello a indicare, nel minitest del voto, il tasso di coinvolgimento degli elettori alla cavalcata di Renzi, che – consapevole della scommessa – ha chiuso entrambe le campagne elettorali.

In Emilia Romagna alle scorse regionali ha votato il 68 per cento, più di 2milioni e 300 persone. Ma era il marzo 2010, c’era ancora Berlusconi a Palazzo Chigi e Renzi era a Palazzo Vecchio di Firenze. Più utile tenere a mente le cifre delle ultime europee, quelle in cui Renzi ha trionfato con il miracoloso 40,8 per cento, ma con il 41,3 per cento di elettori che sono rimasti a casa, contro il 58,6 di votanti. L’Emilia Romagna ha fatto la seconda miglior prestazione nazionale, dopo l’Umbria, sfiorando di un decimale il 70 per cento, con un Pd piazzato al 52,2. Ma stavolta in zona centrosinistra tira tutta un’altra aria. Alle primarie per il candidato presidente hanno votato in 58mila, un terzo delle parlamentarie del 2012, neanche tutti gli attuali iscritti del Pd che sono 75mila. Il saggio e prudente candidato Stefano Bonaccini – già segretario del Pd e uomo-macchina del bersanismo emiliano, fra i primissimi a passare con Renzi – tiene l’asticella bassa. «Per vincere basta il 50 per cento più uno», ripete. Ed è vero, per un governatore. Ma il 50 per cento di quale affluenza è il numero che interessa a Palazzo Chigi.

Stessa cosa in Calabria, dove per il Pd la partenza è in salita. Alle scorse europee è andato a votare il 44,7 per cento degli elettori, con un Pd allo smagliante 35,8, venti punti in più dello scarso 15,7 delle regionali del 2010, su un totale di votanti però che sfiorava il 60 per cento.
Il paradosso del voto di oggi, per il presidente del consiglio sta in una proporzione: più bassa sarà la partecipazione al voto, più alte potranno essere le performance del Pd. Ma più profondo potrebbe essere il solco fra renzismo e paese reale.