Un sedicenne ha ucciso a Codigoro i genitori con l’aiuto di un amico, pagato mille euro. Massimo Recalcati ha convocato, come strumento di interpretazione, un «convitato di pietra»: il senso di colpa. Subordinando, impropriamente, Edipo al dettame biblico «Onora tuo padre e tua madre» gli ha attribuito un senso di colpa per il suo parricidio. Cavandosi gli occhi, per espiare la colpa, Edipo avrebbe accettato il potere repressivo della «Legge» sul suo desiderio, interiorizzandola. Incapace di esperire la colpa e di vivere la lacerazione di Edipo, l’omicida di Godigoro avrebbe, invece, agito, avulso dalla «Legge», per eliminare le limitazioni dei genitori alla sua vita senza pensiero.

Recalcati sovrappone la morale all’etica e il senso di colpa al senso di responsabilità. Edipo si acceca per esiliarsi dal mondo dei vedenti, non perché si sente colpevole della morte dei genitori. Ha voluto vedere a occhi aperti, di giorno, quello che si vede a occhi chiusi, in sogno, di notte (la sua hybris). Nell’accecarsi, assume la responsabilità del suo destino, non paga un debito nei confronti delle leggi, umane o divine che esse siano. La responsabilità nei confronti di sé e dell’altro è il valore a cui tende la tragedia greca e non il riconoscimento in un senso di colpa di derivazione cristiano-ebraica.

Il senso di responsabilità, non è imposto dalla «Legge», una norma esterna al desiderio che lo limita. È un’intrinseca esigenza del desiderio stesso che resta vivo solo se rispetta il suo oggetto. Il valore etico delle leggi sta nel loro grado di derivazione dal regolarsi reciproco dei soggetti desideranti nella relazione erotica, in modo da mantenersi vivi e desiderabili. Il senso di colpa autentico deriva dalla responsabilità ed è al suo servizio: segnala un danno nell’oggetto desiderato per un eccesso irresponsabile di passione (odio incluso) e chiama a una riparazione che è ritorno in una posizione responsabile.
Ciò che minaccia l’eticità delle relazioni e della loro regolazione è la loro infiltrazione dai rapporti di potere (lo sfruttamento dell’oggetto desiderato).

Il senso di colpa come obbedienza alla norma, è estraneo al senso di responsabilità e alla soggettività desiderante. Indica il dominio del potere sul desiderio nel campo dei dispositivi giuridici che regolano il loro conflitto. Nel rapporto con i genitori, questo senso di colpa non è correlato al loro danno come oggetti amati, ma all’angoscia di perderli come oggetti normativi per il desiderio, ma necessari per il bisogno. Non esprime compassione, ma paura di sentirsi senza appoggio.

Il divieto di uccidere i genitori origina dal senso di responsabilità nei loro confronti come primi e costitutivi oggetti di passione erotica. La responsabilità consente di non sentirsi minacciati nella propria soggettività dalla sottomissione alla loro azione normativa nel campo dei bisogni. L’uccisione dei genitori presume un vuoto enorme nella relazione di desiderio con loro e un’aporia irrisolvibile sul significato del loro legame, visto allo sguardo dei figli spoglio di una connotazione affettiva e erotica.

Un paesaggio di desolazione estrema dell’anima in cui uccidere i genitori può apparire come l’unico modo per rendere esplicita la morte che lo abita. Un tentativo fallimentare di unirli da morti, di identificarsi, invece di subirlo, con l’Angelo Sterminatore aleggiante nell’aria, di colmare con la propria punizione normativa il vuoto di compassione dentro di sé.
I mille euro non misurano il valore della vita dei genitori, un modello vuoto, ma quello del vivere consumando, eccitandosi senza gusto.