Nel 1979 Rickie Lee Jones ha venticinque anni quando l’omonimo disco d’ esordio le regala le parti alte delle classifiche, recensioni debordanti superlativi e un Grammy. Il disco (splendida la copertina, con un suo primo piano mentre si accende un sigarillo, basco rosso sulle ventitré su una cascata di lunghi capelli biondo castano) arriva alla fine di un anno incredibile. Lowell George rimane a tal punto colpito da una canzone che gli ha cantato al telefono, Easy Money, da includerla in quello che resterà il suo unico lavoro da solista messi da parte i Little Feat; Lenny Waronker, presidente della Warner, resta ipnotizzato da uno spettacolo al Troubadour di Los Angeles e poi da un demo, e prontamente le offre il contratto che frutterà i primi cinque capitoli di una produzione discografica sempre su livelli di assoluta qualità. Delle sue composizioni raffinate a cavallo tra soul, jazz e folk, del suo stile vocale inconfondibile, hanno preso nota in molte, da Natalie Merchant a Edie Brickell, da Sheryl Crow a Lisa Germano, da Susanne Vega a Polly Paulusma.

Dopo un decennio trascorso senza comporre nuove canzoni (a parte dischi di cover o basati su vecchi materiale), Rickie Lee Jones è tornata con The Other Side of Desire, opera che ce la riconsegna al massimo del suo standard compositivo, ridefinito alla luce del poderoso influsso che New Orleans (città dove si è stabilità dal 2013) esercita sui musicisti di ogni estrazione. Nel nuovo album la voce di Rickie Lee Jones suona sempre affascinante, come ai tempi dei primi dischi. Nel nuovo lavoro le lunghe e ammalianti Infinity e Hauntend riecheggiano i brani più acclamati del passato. E proprio dalla sua originale vocalità iniziamo un’intervista con la cantante americana.

Qual è il tuo segreto per riuscire a cantare in un modo ancora così fantastico dopo tutti questi anni di carriera?

Il mio modo di cantare non è molto faticoso, e questo probabilmente mi ha permesso di mantenere un alto livello di prestazione vocale. Per me è importante cantare quando sono rilassata, non nervosa, e questo fa sì che le mie corde vocali non siano troppo stressate. Nel tempo c’è stato un po’ di abbassamento di tonalità, ma non molto: il timbro in effetti è ancora quello di una volta, e così pure il controllo vocale. A ben vedere non so dirne il motivo. Probabilmente è perché amo cantare e sono felice che possa ancora farlo.

Hai detto che The Other Side of Desire non si sarebbe potuto realizzare senza il <> di New Orleans, la città dove vivi dopo aver abbandonato Los Angeles. Che cosa ti sta dando, come musicista, New Orleans?

Come musicista la città mi ha restituito il sorriso. Qui la gente suona tutto il tempo, e non suonano per guadagnare soldi, lo fanno perché adorano la musica; non suonano i generi che oggi vanno per la maggiore, suonano le canzoni che amano, non importa se il sound è di qualche vecchio musicista di quaranta o più anni fa.

In questo New Orleans è molto differente dal resto degli Stati Uniti.

E’ vero. L’idea che la musica sia legata anche alle generazioni precedenti e che tutto non debba essere pensato esclusivamente per un pubblico di quattordicenni è una cosa che manca da molto nella cultura americana. La gran parte del pop sta rappresentando solo i giovani e, per di più, di recente sta raccontando anche troppa violenza. Qui a New Orleans posso ancora interpretare canzoni gentili e armoniose con persone che vogliono solo fare musica per il piacere di farlo. Persone che amano stare con me, senza avere un loro cd da darmi perché lo proponga a qualche discografico, che non usino la mia fama per raggiungere i loro scopi, che non mi considerino un vascello verso una vita migliore. Questa cosa è andata avanti per anni ed è davvero umiliante e deprimente. Così, ripeto, la cosa più importante che la città mi regala è il sorriso: sorrido ovunque vada, ascoltando tutta quella gente che si cimenta con i propri strumenti. E’ rivitalizzante, ridà speranza.

Comunque la tua figura è ancora molto legata a Los Angeles. Cosa rimane di quella città, di quel periodo della tua vita?

Non è da molto che mi sono allontanata ed è difficile fare una valutazione spassionata. In ogni caso, già quando ancora vivevo lì, la Los Angeles che conoscevo era scomparsa. La gente che amavo frequentare o è morta o ha tradito la nostra amicizia. Sembrava che l’arco della mia carriera, con i suoi successi e fallimenti, avesse preso il soppravvento nelle relazioni personali che intrattenevo. E poi è diventato tutto molto costoso lì, uno schifo di casa costa mezzo milione di dollari. Troppe auto, troppa gente. E’ vero che porto sempre con me il ricordo di quei tempi, è vero che ho vissuto e scritto di quelle strade, ma non credo tornerò mai più a Los Angeles.

Perché hai smesso di scrivere canzoni per dieci anni, e cosa ti ha fatto riprendere?

La principale ragione è perché avevo una figlia di cui prendermi cura. Avevo davvero poco tempo per comporre. E, in questo tempo, sono stata anche coinvolta in una relazione malsana, che spegneva la fiducia in me stessa e l’autostima. Ho dovuto fare i conti con tutti questi aspetti negativi. Venire a New Orleans è stata l’occasione per lasciarmi alle spalle un periodo difficile, rilassarmi e trovare nuovi impulsi. Ho ricominciato a scrivere e pian piano sono tornati stimoli e ispirazione; e, come spesso capita, più componevo e più mi veniva voglia di farlo.

In questi dieci anni per la verità non sei rimasta del tutto inattiva: hai pubblicato un album di cover, il terzo della tua discografia. Le versioni di brani di altri artisti hanno sempre avuto una parte importante nel tuo repertorio. Quali sono le ragioni di questa scelta e come selezioni le canzoni altrui da interpretare?

Io non ragiono in termini di canzoni mie, canzoni di altri. Amo la musica e non separo la mia da quella altrui, viviamo tutti in un mondo dove la musica contribuisce a rendere più bella la vita di tutti, a prescindere da chi la compone. Se trovo una canzone che risuona positivamente in me è naturale abbia voglia di interpretarla. Scelgo i pezzi per come mi fanno sentire, e per come credo si sentirà il pubblico se li ascolta cantati da me. Devo creare un nuovo arrangiamento che intrighi il pubblico? Devo cantare in un modo nuovo così che l’ascoltatore percepisca qualcosa di diverso rispetto all’originale? Sono domande che ovviamente mi pongo, ma quello che conta è ciò che provo quando reinterpreto un brano, le emozioni che mi regala.

Nel precedente album The Sermon on Exposition Boulevard hai esplorato la parte religiosa e spirituale dell’esistenza umana. Il nuovo disco invece sembra più terreno, mondano. Concordi?

Sì, è così, il nuovo disco rappresenta una sorta di reportage sulla mia quotidianità, su ciò che accade attorno a me. Per la verità, anche The Sermon on Exposition Boulevard era un disco molto più ‘terreno’ di quanto sia apparso.

Un concept album sulla vita e l’insegnamento di Gesù Cristo è difficile non legarlo alla trascendenza, no?

Il disco in effetti si incentra sulla figura di Cristo, ma è un Cristo molto umano, che ride, beve, scherza. Non credo sarà mai utilizzato in nessuna chiesa per spiegare chi fosse Gesù. E’ un disco di cui sono molto orgogliosa, ma l’hanno sentito davvero in pochi. Non era certo mia intenzione fare proselitismo, non sono neppure cristiana, piuttosto m’interessava porre l’accento alcune assurdità. In California è ok dirsi indù o buddista, ma se dici che sei cristiano le persone si allontanano. Ridicolo, no? O il paradosso più grande: il cristianesimo è stato una nuova e ribelle idea che progressivamente si è rivelato l’opposto di ciò che era in origine.

Torniamo a The Other Side of Desire. Quali sono gli obiettivi che ti sei posta quando sei entrata in studio di registrazione?

Volevo scrivere alcune canzoni semplici come si faceva negli anni ’60, dire quello che avevo da dire in meno di un minuto. Desideravo onorare il luogo in cui attualmente vivo, New Orleans, e l’eco dei suoi tanti musicisti e stili. Sognavo di scrivere alcune canzoni che potessi suonare per il resto della mia vita, che possano essere ancora valide tra altri dieci anni o giù di lì. Ho avuto questi obiettivi, mossa dalla sensazione che avevo bisogno di uscire, di guardare verso nuovi orizzonti.

Una nuova città dove vivere. Un album nuovo di zecca. Probabilmente nuove attese e nuove speranze. The Other Side of Desire può essere considerato un nuovo inizio?

Più che il disco, credo che New Orleans rappresenti la possibilità di una nuova vita. Per quanto tempo mi piacerà questo posto, chi lo sa? Chiedo solo di fare rotta verso tempi felici. Soprattutto per mia figlia, che è il mio cuore.