L’Unione europea prova a scrivere le prime norme comuni per tutti i 27 Paesi con lo scopo di tutelare i lavoratori della cosiddetta gig economy: rider, “liberi professionisti” iperprecari e sottopagati le cui figure si sono moltiplicate negli anni, a tutto vantaggio dei profitti di datori di lavoro dai fatturati milionari come Glovo, Uber, Deliveroo o Just Eat. Un esercito di dipendenti di un impersonale algoritmo in oltre 500 piattaforme digitali, composto di quasi 30 milioni di persone – spesso giovani, ma non solo – destinato a crescere fino a 40 nel 2025, secondo le stime delle Commissione europea.

La direttiva rider (più precisamente Working Platform Directive) si propone di garantire che i lavoratori delle piattaforme digitali vedano riconosciuto il reale status del loro impiego, evitando che siano definiti “autonomi” in maniera fittizia, e quindi privi di una serie di garanzie, anziché di fatto subordinati. Per stabilirlo, serve individuare elementi che possano indicare controllo e direzione da parte dei datori di lavoro. In che modo? È su questo che i co-legislatori europei (Parlamento e Consiglio, in rappresentanza dei governi nazionali) si sono scontrati, tanto che l’accordo politico – che andrà poi confermato dal voto degli stessi Parlamento e consiglio – raggiunto ieri a Strasburgo nel cosiddetto trilogo, è arrivato all’ultimo momento disponibile, dopo essere stato sospeso lo scorso dicembre per opposizione di diversi paesi, in particolare la Francia.

NEL DISEGNO ORIGINARIO della Commissione, la legge prevedeva che il lavoratore della piattaforma potesse denunciare la subordinazione in base a una serie di criteri prefissati. Tra questi il fatto che i compiti da svolgere gli vengono assegnati, gli orari di lavoro vengono stabiliti dalla piattaforma e i guadagni del singolo vengono limitati e anch’essi imposti dall’alto. Quando però Parigi ha avanzato un’obiezione sulla definizione di presunta subordinazione del lavoratore, il Consiglio ha fatto saltare il banco a dicembre, costringendo i negoziatori al round dell’ultimo minuto. L’ultima formulazione prevede una modalità per cui i fattori di controllo e direzione sono stabiliti in base alle normative nazionali, i contratti di lavoro collettivi e le decisioni della Corte di Giustizia Ue.

LO SPOSTAMENTO di presunzione di rapporto subordinato dai criteri europei ai criteri nazionali non è necessariamente un depotenziamento della direttiva, dato che «la presunzione di impiego a livello Ue avrebbe dovuto fare i conti con le definizioni nazionali del lavoro subordinato». Lo sostiene Antonio Aloisi, professore di Diritto del Lavoro presso l’Università IE di Madrid e autore con Valerio De Stefano di Il tuo capo è un algoritmo. Contro il lavoro disumano. «Criteri rigidi rischiavano di spiazzare alcuni Stati con situazioni buone a livello sia di contenzioso che di legislazione. Italia Spagna e Francia sono già oltre quei criteri. Il rischio sarebbe stato quello di abbassare la protezione, alzando la complessità procedurale». Rendendo quindi più difficile ottenere giustizia da parte del dipendente di fatto.

Con l’accordo raggiunto, nella direttiva è stata inoltre inserito l’importante limitazione del potere decisionale dell’algoritmo sulla vita lavorativa delle persone. Non potrà essere un sistema decisionale automatizzato a prendere decisioni come l’allontanamento o il licenziamento del lavoratore, e anzi dovrà sempre essere garantita la supervisione umana su scelte che hanno impatto sulla vita del lavoratore. «Oggi è stata assicurata la protezione sociale dei lavoratori e la correzione dei falsi autonomi, molto frequenti anche tra i riders», sottolinea la dem Elisabetta Gualmini, relatrice della direttiva da parte dell’Eurocamera. «Soprattutto c’è una regolamentazione orizzontale e comune per tutti i paesi europei per la prima volta al mondo sulla gig economy».
Ma alla fine cambierà qualcosa, si spera in positivo, per i lavoratori, quando tra non meno di 4 anni la direttiva in vigore nei singoli paesi Ue? «Per il rider sarà più semplice dimostrare il rapporto subordinato. L’onere della prova di autonomia sarà a carico del committente», spiega Aloisi.