Stabilito solennemente che i magistrati devono andare in pensione a settant’anni, il governo Renzi ha poi meno solennemente smentito se stesso, ieri per la terza volta. Il Consiglio dei ministri ha infatti prorogato – come già nel 2014 e nel 2015 – la permanenza in carriera dei magistrati che sarebbero dovuti andare in pensione entro il 31 dicembre di quest’anno. La proroga scade alla fine dell’anno prossimo e questa volta è ultra selettiva: riguarda solo i magistrati «con funzioni apicali e direttive superiori» delle alte Corti: Cassazione, Corte dei Conti, Consiglio di Stato e Avvocatura dello Stato. In realtà, salvo pochi casi, il provvedimento è pensato quasi esclusivamente per i giudici di Cassazione e tra questi il primo presidente Giovanni Canzio, il presidente aggiunto Renato Rordorf e il procuratore generale Pasquale Ciccolo. Esclusi tutti gli altri magistrati.

Esclusi almeno fino a qui, perché questo è il decreto che è uscito dal Consiglio dei ministri di ieri. Decreto che passerà adesso per il parlamento per essere convertito, e non sono da escludere modifiche che lo riportino al contenuto originario, del resto simile a quello delle proroghe precedenti. Perché al di là della ventina di giudici di Cassazione che potranno approfittare della proroga decisa ieri dal governo, e al di là dei giudici della Cote dei Conti che pure ne approfitteranno, restano oltre cento magistrati ordinari nelle procure e nei tribunali italiani che in questo modo dovranno andare a riposo dal primo gennaio 2017. Così come deciso tre anni prima dal governo Renzi.

I numeri sono alti e il Csm non è riuscito a stare al passo con le nomine e i trasferimenti, ragione per cui non sarà difficile che tornerà a essere sollevato il rischio dei vuoti nell’organico degli uffici giudiziari. E dunque la richiesta di estendere la proroga.
Consapevole della brutta figura rispetto alle annunciate decisioni, l’esecutivo è riuscito a tenere un profilo basso sulla vicenda. Da qui la scelta di limitare la proroga ai magistrati delle alte Corti. Scelta che però solleva altri dubbi, dal momento che il decreto in questo modo lungi dall’essere «generale e astratto» ha finito per diventare una vera e propria «legge ad personam», rivolta a poche alte toghe facilmente identificabili. Il Consiglio dei ministri l’ha giustificata con il peso dell’arretrato da smaltire: il decreto legge infatti contiene «misure urgenti per la definizione del contenzioso pendente dinanzi alla Cassazione, per garantire l’efficienza degli uffici giudiziari mediante interventi di carattere organizzativo e per l’attuazione del processo amministrativo telematico».
Il parere dell’Associazione nazionale magistrati era già arrivato alla vigilia ed è fortemente negativo. L’associazione guidata da Piercamillo Davigo parla infatti di «improvvisazione» e «disparità di trattamento», quest’ultima una critica destinata a diventare anche più radicale dal momento che il decreto ha tagliato fuori dalla proroga tutti i magistrati ordinari.
Secondo l’Anm per smaltire l’enorme peso dell’arretrato l’unica strada è «velocizzare i tempi di reclutamento dei nuovi magistrati, adottare di misure per affrontare le difficoltà in cui versano gli uffici giudiziari». red. pol.