Come dar torto a Lula quando dice che questa campagna elettorale è stata «la più conflittuale della storia del Brasile»? Domani, secondo turno delle presidenziali, si gioca una partita decisiva per il paese, quella tra due diversi progetti di governo: uno di centrosinistra, aperto – pur con tutti i limiti – alla giustizia sociale e all’integrazione latinoamericana, rappresentato dall’attuale capo di stato, Dilma Rousseff; l’altro, di centro e neoliberista, proposto dal candidato Aecio Neves, che guarda a Washington. Entrambi gli schieramenti ne hanno dato contezza fino all’ultimo.
E però un’inchiesta pubblicata mercoledì scorso indica che oltre il 70% degli elettori non ha apprezzato l’aggressività emersa nella campagna elettorale. Così, per mantenere e accrescere quel leggero vantaggio nei sondaggi attribuito a Rousseff, il Partito dei lavoratori (Pt) ha schierato a tutto campo il carismatico ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, che ha governato il Brasile dal 2003 al 2011 e che gode ancora di grandissima popolarità. Nonostante i suoi problemi alla gola, Lula ha fatto scudo a Rousseff nei comizi, e attaccato frontalmente il candidato del Partito della socialdemocrazia brasiliana (Psdb).

Intervenendo nelle zone più povere del paese, il fondatore del Pt ha criticato le “aggressioni” di Neves, che aveva definito «insensata» la candidata del Pt. «Una volta in questo paese il lavoratore non poteva iscriversi a un sindacato – ha detto Lula – e le donne che lavoravano nell’industria non potevano andare due volte al bagno durante il loro turno. E voi avete eletto un sindacalista e una donna come presidenti della Repubblica». Dilma ha parlato ai movimenti, ringraziando per l’appoggio ricevuto da femministe, gay, indigeni e afrodiscendenti. «Mi sento tranquilla perché qui ci sono le principali manifestazioni della diversità, della ricchezza del paese», ha detto.

Nelle ultime intenzioni di voto, Rousseff è data al 54% e il suo avversario al 46%. Il rifiuto nei confronti del candidato del Psdb sarebbe aumentato dal 38% al 40% mentre il gradimento al governo di Rousseff sarebbe passato dal 39% al 42%. «Il Psdb rappresenta solo i ricchi», ha sintetizzato Dilma durante un comizio nello stato di Pernambuco. In quello stato del nordest aveva governato l’ex candidato presidenziale Eduardo Campos, morto in un incidente aereo e sostituito con Marina Silva dal Partito socialista brasiliano (Psb).

Silva, inizialmente presentata come una outsider capace di scalzare Dilma, ha devoluto i suoi voti a Neves, dopo essere arrivata terza al primo turno del 5 ottobre. Una decisione che ha reso più difficile la vittoria di Dilma, ma più chiara la scelta di campo per quegli elettori che avevano collocato a sinistra “l’ambientalismo” di Silva.

Neves ha ricevuto anche l’appoggio del Club Militar, i cui membri – militari in pensione – difendono la dittatura imposta al Brasile tra il 1964 e il 1985: contro «l’approfondimento del socialismo», hanno detto. La legge di amnistia, varata nel 1979 e ratificata nel 2010 dal Supremo Tribunal Federal, impedisce la riapertura dei processi, ma il governo nel 2012 ha creato la Commissione per la verità per investigare i crimini dei militari, che presenterà il suo rapporto a fine anno.

Neves ha usato il mantra del «tornare a crescere» usando le previsioni del Fondo monetario internazionale per quest’anno (non oltre lo 0,7% in più) come atto d’accusa alle politiche economiche di Rousseff. E si è presentato come uomo di fiducia dei mercati, decisi a scalzare Dilma. La presidente ha esibito i risultati dei suoi 4 anni di governo: aumento del salario minimo e dell’accesso al credito, drastica diminuzione di povertà estrema, disoccupazione e mortalità infantile… Ha ammesso gli errori e annunciato la sostituzione del ministro dell’Economia Guido Mantega. Ma ha promesso che continuerà sulla strada delle riforme.

Per i movimenti e per la sinistra anticapitalista si dovrà trattare di riforme strutturali e non più di semplice assistenzialismo. Tra il 1° e il 7 settembre scorso, 7,7 milioni di brasiliani hanno partecipato a una consultazione popolare organizzata dal Movimento popolare di sostegno a un referendum sulla riforma del sistema politico, che raccoglie oltre 400 organizzazioni e circa 2.000 movimenti popolari. Il 97% si è detto favorevole all’elezione di un’Assemblea costituente per rifondare il sistema politico.

Il 13 ottobre, le firme sono state consegnate a Dilma Rousseff, che si è detta a favore della proposta. Sempreché domani i brasiliani decidano di restare tra quel 54% della popolazione latinoamericana che vive in paesi governati da governi progressisti o socialisti – un dato inedito nella storia del continente.