Riprende a Cuba un nuovo round di negoziati tra il governo colombiano di Manuel Santos e la guerriglia marxista Farc. Il 2 ottobre, un referendum ha bocciato con stretto margine (50,2% contro 49,8%) e un’altissima astensione (62, 57%) gli accordi già firmati in una cerimonia internazionale a Cartagena e raggiunti dopo quattro anni di negoziati all’Avana. Un referendum voluto solo da Santos, ma considerato inutile e pericoloso dai movimenti e dalla sinistra, dato l’altissimo grado di intossicazione che permea le istituzioni colombiane. E, infatti, vi sono state molte denunce di brogli. Santos ha così portato a casa il Nobel, ma ha consentito il rientro in gioco dell’estrema destra di Alvaro Uribe, ex presidente di cui è stato ministro della Difesa, tanto nemico del processo di pace quanto amico dei paramilitari e dei grandi interessi che tutelano. Il fratello Santiago è sotto processo per i massacri compiuti negli anni ’90 dal gruppo paramilitare Los 12 apostoles, nella regione di Antioquia.

SANTOS ha incontrato i fautori del No al referendum per rimettere in gioco gli accordi (al ribasso). Anche le Farc hanno avuto un unico incontro con Uribe, subito finito. Nel 2008, durante le trattative per la liberazione di Ingrid Betancourt, la mediazione dell’allora presidente venezuelano Hugo Chavez aveva portato a discutere proprio Uribe, ma le condizioni da lui poste erano risultate inaccettabili. La pace voluta dalle destre, infatti, è quella della tomba, per la guerriglia e per l’opposizione: non una pace con giustizia sociale, come vorrebbero la sinistra e i movimenti. Un percorso di trasformazione che porti a soluzione le profonde storture e ineguaglianze di un paese lacerato da 52 anni di conflitto armato.

UN PAESE in cui i leader indigeni e contadini continuano a morire. Da quando è in vigore il cessate il fuoco bilaterale tra Santos e le Farc, nella regione del Cauca si sono moltiplicati gli attacchi ai leader sociali. Vi sono stati 5 morti e 2 feriti. L’ultimo contro Esneider Gonzalez, dell’Associacion de Victimas Arte Paz y Vida e dell’Associacion de Trabajadores Campesinos. Lo scorso 19 maggio era toccato a Cecilia Culcué, che avrebbe dovuto ospitare un punto di smobilitazione della guerriglia nella sua fattoria. I paramilitari – denunciano le organizzazioni per i diritti umani – hanno solo cambiato nome, riciclandosi come guardie private delle multinazionali, a cui il governo lascia mano libera per rapinare e contaminare i territori ricchi di risorse.
LE POPOLAZIONI del Cauca lanciano perciò l’allarme: fare melina sul processo di pace – dicono – serve solo a immobilizzare la guerriglia, sorta proprio per fronteggiare la violenza e i soprusi, e per sostenere la principale delle rivendicazioni, al centro di un’alternativa di sistema: la riforma agraria. Il primo punto degli accordi, ora rimesso in gioco.

UN GRUPPO DI DONNE, guidate dall’ex senatrice colombiana Piedad Cordoba ha consegnato una lettera a Santos, chiedendogli di rispettare gli accordi, e di non recedere sul tema di genere e sui diritti delle donne, presente in tutti i punti dell’Avana. Su 127.708 vittime del conflitto armato – nella stragrande maggioranza provocate dalla violenza dello stato e dei paramilitari – il 52% sono donne. Il presidente ha assicurato che tutto si concluderà entro fine anno. Un percorso che potrebbe essere facilitato da un iter legislativo accelerato, la costituzione lo prevede. Nel frattempo ha firmato un decreto per formalizzare la smobilitazione delle Farc nelle 26 zone previste dagli accordi.

Il 14 scorso in migliaia hanno manifestato per la pace. Il 27 inizia a Quito il dialogo con la seconda guerriglia, l’Eln. E la Corte costituzionale dell’India ha invitato il governo a seguire la via colombiana per intavolare trattative di pace con il gruppo armato maoista naxalita.