«Non una di meno. Non una precaria in più». Così le donne argentine hanno sfilato ieri, vestite a lutto per dire basta al femminicidio. E’ stato definito «il mercoledì nero dell’Argentina». Prima, dalle 13 alle 14 (le 19 e le 20 in Italia), le femministe hanno realizzato uno storico sciopero, il primo del genere in Argentina: per un’ora, si sono astenute da ogni attività. Nei giorni precedenti, avevano lanciato questo appello: «Nel tuo ufficio, la tua scuola, il tuo tribunale, la tua redazione, il tuo commercio o la fabbrica nella quale stai lavorando, fermati per un’ora per dire basta alla violenza maschilista, perché noi ci vogliamo tutte vive».

I femminicidi, in Argentina, sono in preoccupante aumento: 19 casi negli ultimi 18 giorni, uno ogni 23 ore. L’ultimo, quello della sedicenne Lucia Perez, ha scosso l’opinione pubblica, ponendo il tema della violenza sulle donne al centro dell’attenzione. La ragazza è stata drogata, violentata e impalata nella zona turistica di Mar del Plata: «Un’aggressione sessuale disumana», ha detto la magistrata Isabel Sanchez, incaricata del caso. Due uomini – uno di 23 anni, l’altro di 41 – sono stati arrestati. Ieri, il fratello di Lucia ha reso pubblica una commovente lettera, e anche la madre ha invitato a manifestare «Perché non ci siano altre Lucie».

La campagna #NiUnaMenos ha preso avvio nel marzo del 2015. Il giorno prima venne ritrovato sotto un ponte il cadavere seminudo di Daiana Garcia, 19 anni, violentata e asfissiata con un calzino. L’idea dello sciopero delle donne è nata in Islanda il 24 ottobre del 1975, quando il 90% delle islandesi si astenne per un’ora da ogni attività. E di recente si è ripetuta in Polonia. Anche ieri, la partecipazione è stata altissima. Con rabbia e commozione, hanno risposto in molti paesi dell’America latina: Bolivia, Venezuela, Uruguay, Honduras, Colombia. E in Messico, dove – a seguito della mattanza di Ciudad Juarez – ha preso forma la nozione giuridica di femminicidio. Solidarietà anche dalle femministe italiane, spagnole, francesi e tedesche.

«Come tutte voi, compagne, voglio le donne della mia Patria vive», ha scritto in Facebook la ex presidente argentina, Cristina Kirchner, invitando a partecipare allo sciopero. Cristina, ha chiesto di marciare «per tutte quelle donne che, come Milagro Sala, hanno lottato per dare nome e diritti a chi prima non ne aveva nessuno». La deputata indigena Milagro Sala è in carcere dal dicembre scorso con l’accusa di aver sottratto denaro pubblico nella costruzione di case popolari autogestite. Sala, che fa parte dell’organizzazione indigena Tupac Amaru e della Central de los Trabajadores Argentinos (Cta) ha sempre respinto le accuse e denunciato le manovre politiche del governatore di destra Gerardo Morales. Per lei si è mobilitato anche il papa Francesco, che ha avuto modo di conoscerla durante l’incontro con le organizzazioni popolari in Vaticano, e che le ha inviato un rosario in carcere.

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Marcha del domingo il 9ottobre scorso a Rosario

La Cta ha aderito allo sciopero insieme ad altre organizzazioni sindacali, in crescente agitazione contro i massicci licenziamenti, l’aumento delle tariffe, la privatizzazione e la chiusura degli spazi per la libera informazione decisi dal presidente neoliberista Mauricio Macri. «Vi voglio vive e in tutti gli spazi politici e sociali, nella scienza e nella cultura, in ogni spazio che porti la nostra società verso un luogo più giusto e ugualitario, nella giustizia e negli ospedali. Nelle scuole e per strada», ha scritto Cristina.

Dieci giorni fa, nella città di Rosario, una grande manifestazione di donne, al termine di un incontro nazionale, è stata brutalmente dispersa dalla polizia. Oltre 30 i feriti, anche giornalisti.