È programmato oggi al Torino Film Festival [/V_INIZIO]Una nobile rivoluzione di Simone Cangelosi, in concorso nella sezione documentari italiani, giorno in cui ricorre il Transgender Day of Remembrance (TDoR), una ricorrenza della comunità Lgbtqi per commemorare le vittime dell’odio e del pregiudizio anti-transgender. L’evento, che si celebra il 20 novembre in tutto il mondo, venne introdotto in ricordo di Rita Hester, assassinata nel ’98 (in Italia si celebra oggi, giorno del passaggio del film al festival).
Chi era il principe di Gradisca? quel signore dall’aria aristocratica che così bene rappresentava il tipico maschio latino degli anni trenta? chi l’animatore delle serate al Piper? era Marcella Di Folco prima del suo viaggio a Casablanca, molto prima di rendersi conto della sua transessualità, prima del suo impegno politico nel movimento di identità transessuale. Il film, al suono della sua voce tonante («de mestier je fé la mignotte») racconta la sua storia, la ricorda (è scomparsa nel 2010) ne rimette in scena la presenza monumentale tanto che la sua spettacolarità, la sua fisicità hanno certamente influito a dare una voce decisa a qualcosa che fino a quel momento non esisteva.
Tra la sua esperienza nel mondo del cinema (tra cui Cartesius di Rossellini, Todo Modo di Elio Petri, tanto Fellini da Satyricon a Roma a La città delle donne, Sordi e Dino Risi) e il movimento c’è il suo trasferimento a Bologna («Emilia Romagna, una regione che promuove l’uguaglianza»), dove trova la sua città e il suo posto nel mondo, fonda nell’88 il Mit, movimento di identità transessuale e sarà la prima transessuale al mondo ad essere eletta nel consiglio comunale. Prima c’era il vuoto, quell’evento segnò il punto di svolta. Quando ancora manifestare significava subire il carcere e la sorveglianza, la Chiesa non ammetteva Gay Pride a Roma, ecco che si poté costruire un consultorio, una sede, la casa alloggio per i transessuali che si trovavano sbandati per le strade. Si vede Marcella non solo con la fascia tricolore nelle sue funzioni pubbliche, ma soprattutto durante le manifestazioni prima impensabili, a chiedere i sussidi per la cura all’Aids seduta sul banchetto, fare casino nel corse delle sfilate, raccontare senza troppi giri di parole almeno le due o tre vite che ha vissuto. Camera a mano, un taglio spontaneo di racconto a non farsi sfuggire qualsiasi accenno, termina in maniera adeguata con il ricordo di Vladimir Luxuria («Marcella mi considerava una sua creatura»), una prova di quanta strada si sia potura fare nel cammino dei diritti e della libertà sociale.