«Voglio essere realista: questo Parlamento qui non farà cambiamenti sul Jobs Act. C’è la fiducia, punto. Al momento opportuno Renzi la mette, e gli altri la votano. È già accaduto al Senato, immagino che accadrà alla Camera: e non è la modifica di qualche virgola a riaggiustare tutto». Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, scende in piazza sapendo che la battaglia è ancora all’inizio, e che non sarà facile, ma ha una certezza: «Sono convinto – spiega – che l’unico modo per migliorare quel testo sia la mobilitazione delle persone, nei territori e nelle fabbriche».

Cioè convincerete il premier a rivedere le sue posizioni?

Quello che farà il governo lo vedremo: io dico che finalmente, con la mobilitazione straordinaria che avremo a San Giovanni, non avrà più soltanto di fronte le dichiarazioni di qualche dirigente sindacale, ma si renderà conto che sta perdendo consenso nel mondo del lavoro, anche tra i giovani e i precari. E quindi non si porrà tanto il problema di discutere con il Parlamento, quanto piuttosto quello di confrontarsi con il lavoro e la sua rappresentanza. Con la Cgil, con la Fiom. Sia inteso: non voglio sminuire il valore dei parlamentari, ma votando in quel modo la fiducia, accettando di dare l’ok a una delega in bianco, hanno consegnato al Paese il messaggio che il Parlamento viene delegittimato.

La percezione che avete è che Renzi stia perdendo consensi?

Io vedo che in questi giorni la manifestazione ha avuto adesioni straordinarie: non solo i treni sono pieni, ma ci sarebbe bisogno di più pullman di quelli che siamo riusciti a trovare. Cosa è successo? Tante persone si sono rese conto che agli annunci non corrisponde la realtà dei fatti. Ad esempio sull’Europa: vedi che a parole si contrastano i vincoli posti dai patti Ue, ma poi si discute solo sullo zero virgola, senza rivendicare una vera politica di investimenti, l’unica che darebbe lavoro. E poi c’è il Jobs Act: il governo ha scelto chiaramente di fare proprie le proposte di Confindustria, ha dichiarato che è giusto licenziare. Chi sta nelle fabbriche, chi lavora a Terni, alla Trv, alla Titan, alla Nokia, chi vive i licenziamenti sulla propria pelle, secondo voi cosa pensa di tutto questo?

La Cgil cosa dice a queste persone? È un’alternativa a Renzi?

La Cgil offre un terreno di riunificazione, non di divisione: noi siamo in piazza per portare le nostre proposte a Renzi, fargli capire che ha bisogno dei lavoratori se vuole davvero cambiare il Paese. Invece le ricette applicate finora, anche con la legge di stabilità, sono sempre le solite: si fanno pagare i più deboli, con i tagli, mentre i poteri forti, al di là delle dichiarazioni, non vengono intaccati. Il problema è che abbiamo il pareggio di bilancio in Costituzione: finché non esci da questa logica, non fai investimenti e non crei lavoro.

La detassazione delle assunzioni non risolve il problema?
In sè non sarebbe negativa, ma da sola non è risolutiva. Già Letta aveva varato un piano per detassare 150 mila assunzioni, ma ne sono state fatte 20 mila. E poi già oggi godono di sgravi i disoccupati oltre i 2 anni, gli apprendisti. Ma finché le imprese non hanno lavoro, queste ricette non funzionano. Serve un piano straordinario di investimenti pubblici. Ma non dando soldi pubblici a tutti: bisogna incentivare solo chi si impegna a conservare tutti i posti e a non licenziare. Si devono rifinanziare i contratti di solidarietà, concedendoli però a chi si impegna a non licenziare per il prossimo anno e mezzo.

Per tanto tempo si è parlato dell’asse Landini-Renzi. Ora è cambiato il giudizio sul premier?

Non è cambiato nessun giudizio, alla Fiom stiamo al merito e in base a quello ci muoviamo. Con gli 80 euro, i contratti di solidarietà alla Electrolux, le tasse sulla rendita, ero d’accordo e l’ho detto. Adesso che si fanno proprie le posizioni di Confindustria, che non si investe ma anzi si taglia, che si tolgono le tutele, credo sia giusto manifestare la mia contrarietà. Il governo ha aperto un conflitto nel Paese, che ha sta riducendo il suo consenso: di questo deve assumersi le sue responsabilità.

Dopo San Giovanni cosa farete?

In questa fase è importante dimostrare che stiamo facendo sul serio. Quindi continueremo, verso lo sciopero generale, e organizzando altre iniziative nei territori.

Con la Cgil siete più uniti? Le divisioni erano state fortissime nei mesi passati: il conflitto con il governo pare vi abbia rinsaldato.

Assolutamente sì, ci ha unito. Va valorizzato il fatto che la Cgil ha elaborato una sua piattaforma autonoma, prima che i partiti e il governo si pronunciassero sui temi oggi in ballo: e su quello sta giudicando le imprese, l’esecutivo, le forze politiche. Si è deciso di mobilitarsi, anche da soli, e la partecipazione a San Giovanni dimostrerà che era necessario: rafforzando il percorso che ci porterà allo sciopero generale.

Il dibattito sulla democrazia dentro la Cgil è rinviato?

No, lo trovo sempre attuale, abbiamo le sedi per discuterlo e lo faremo, a partire dalla Conferenza di organizzazione. Intanto stiamo portando avanti una piattaforma per il Paese che chiede ammortizzatori sociali e tutele universali, il salario minimo da contratto, l’equo compenso, gli incentivi alla solidarietà, la lotta all’evasione e alla corruzione, la necessità di una politica di investimenti.