Il voto in Abruzzo ha avuto almeno il merito di archiviare, fino al prossimo accidente positivo, il culto, consolatorio o inebriante, del «vento»: a settembre 2022, c’era un vento di destra in Italia; poi, il vento di destra era ovunque; anzi no, in Spagna si ferma; in Sardegna, finalmente, cambia direzione. Emergono, così, gli ostacoli strutturali lungo la strada per arrivare ad una coalizione progressista credibile, quindi competitiva, l’unica opzione politica possibile per dare forza di governo ad un programma di dignità del lavoro, giustizia sociale, conversione ambientale e, prima di tutto, pace.

Il primo ostacolo è annoso, diffuso in tutte le democrazie mature ed oltre: la lontananza dei partiti della sinistra storica, in tutte le sue declinazioni, dalle fasce popolari. Il secondo è relativamente recente, presente a macchia di leopardo in giro per l’Europa, significativo in Italia: nel voto amministrativo, il restringimento del consenso delle periferie sociali al M5S, il soggetto che, sin dal suo esordio, ne ha intercettato nel voto politico, in concorrenza alla destra e alla defezione, la rabbia, le paure, la sfiducia incancrenita. Certo, il consenso a fisarmonica al M5S nel voto per i diversi livelli di governo lo registriamo regolarmente a partire dal suo arrivo in parlamento nel 2013. Accomuna i giovani movimenti anti-sistema. In Francia, avviene per La France Insoumise di Melenchon. Ma tali caratteristiche non attenuano la preoccupazione. Sono le due facce della stessa medaglia. Tuttavia, la discussione si è concentrata sul «crollo» del M5S. Come se il primo problema non esistesse e fosse, implicitamente, delegato al M5S il cimento di riportare il «popolo» nell’orbita progressista. Come se un Pd al 20%, concentrato nella rappresentanza dei settori sociali medio-alti fosse un risultato soddisfacente.

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Invece, la sfida impegnativa è per entrambi i principali protagonisti del «campo»: soggetti distinti, irriducibili ad unum. La somma delle forze date, pur necessaria, non è sufficiente, neanche nel voto politico. Il lavoro preliminare da fare, separatamente e insieme, è, nel lessico antico, l’elaborazione di un’analisi di fase condivisa, almeno a grandi linee, per trovare punti d’incontro sulle grandi questioni di fronte a noi.
Siamo da qualche anno, in un’altra stagione dell’umanità. La «fine della Storia» è finita. Il trionfo del modello liberal-democratico a seguito della globalizzazione dei mercati non vi è stato. Anzi, quel modello è archiviato finanche a Washington, nel suo epicentro. Siamo nella stagione della protezione sociale e identitaria. Allora, quale Ue, oltre la favola degli Stati uniti d’Europa e l’autolesionismo del programmato ulteriore allargamento? Oltre le divergenze sull’invio di armi all’Ucraina, quale relazione con il global south, inclusa Russia e Cina, ossia quale ordine internazionale? Quali condizioni ai movimenti di capitali, merci, servizi e persone, anche nel mercato unico europeo, per arrestare la svalutazione del lavoro, il disfacimento delle classi medie, l’esaurimento della vivibilità sulla terra, il rattrappimento delle democrazie? Come governare con realismo i flussi migratori e intervenire sulle loro cause? Quale intervento pubblico nell’economia? Quale senso di comunità nazionale? Come affrontare l’emergenza antropologica? Quale cultura del limite all’utilizzo delle tecnologie e alla sovranità dell’individuo sul versante dei diritti civili?

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Le risposte saranno diverse, ma le domande non possono essere evase. La svolta sarebbe nel riconoscimento reciproco del senso politico delle posizioni dell’altro per arrivare ad un’alleanza espressione di due matrici culturali, non soltanto compatibili, ma «contaminate», in grado di attrezzare tutti ad allargare la rappresentanza di quelle fasce popolari oggi auto-esiliatosi nell’astensione attiva o affidatesi, spesso per disperazione, alle destre. Poi, ciascuno dei protagonisti ha compiti specifici da svolgere, sul piano del consolidamento o della ridefinizione della cultura politica, della forma partito, della selezione e formazione di classi dirigenti adeguate.
È un cammino difficile, ma gli ostacoli non si possono aggirare. Non vi sono scorciatoie.