I socialisti spagnoli sono nella tagliola. Dopo due elezioni e una vacanza di governo che dura da otto mesi, devono astenersi dando via libera a un governo Partito popolare (Pp)-Ciudadanos o devono votare contro come ha deciso il Comitato federale? Il dibattito che inizia il 30 agosto alle Cortes (il Parlamento di Madrid) ruota intorno a questo dilemma non essendoci una maggioranza certa. La destra del Pp e i centristi di Ciudadanos potrebbero anche raccattare i voti necessari a un governo con il sostegno di qualche lista nazionalista, ma l’esecutivo sarebbe politicamente debole e vulnerabile.

Da qui la pressione sul Psoe affinché dia un segnale di «responsabilità nazionale».

Per l’astensione spingono gli ex premier socialisti Felipe González e Luis Rodríguez Zapatero, preoccupati dell’aggravarsi della crisi politica e istituzionale che a loro dire penalizzerebbe una economia ancora alle prese con disoccupazione e stagnazione. Non la pensa così la stragrande maggioranza delle organizzazioni periferiche del partito che appoggiano la linea del segretario Pedro Sánchez, risolutamente contrario all’astensione.

A consigliare il voto contrario dei socialisti ci pensano due considerazioni. La prima: Psoe e Pp sono nemici storici dalla transizione democratica degli anni settanta in poi. Non hanno mai governato insieme, rappresentano blocchi sociali e interessi alternativi. L’unità nazionale inoltre non gode di favori tra l’elettorato socialista. La seconda: Podemos ha il fiato sul collo del Psoe. Una astensione socialista renderebbe ancora più scoperto il fronte sinistro già occupato con difficoltà dal partito. Podemos nelle ultime elezioni di giugno non ha superato i socialisti nella percentuale di consensi ma si è molto avvicinato all’obiettivo: 22% il Psoe, 21% il partito guidato da Pablo Iglesias. L’eventuale astensione socialista finirebbe per acuire le tensioni tra Psoe e Podemos, che governano insieme in molte città, tra cui Madrid e Barcellona. Secondo i sondaggi, i socialisti perderebbero voti a sinistra senza guadagnarli al centro in modo sufficiente.

Il malessere del Psoe è poi dettato da quello più generale della socialdemocrazia europea che vive una fase buia, ma pure da un sistema politico spagnolo non più bipolare e bipartitico con l’ingresso sulla scena di Podemos.

Sul piano della governabilità immediata, l’unica soluzione per rendere potabile l’astensione socialista sarebbe la rinuncia di Mariano Rajoy a confermarsi premier. Il suo ruolo è stato troppo marcato a destra e in politiche liberiste per essere accettato a cuor leggero dal Psoe. I casi dilaganti di corruzione nel Pp si sono diffusi proprio sotto la gestione di Rajoy.

Una personalità meno esposta e meno compromessa, potrebbe essere la soluzione del puzzle spagnolo. A questa ipotesi si lavora nelle stanze più segrete della politica, ma finora Rajoy ha puntato i piedi. Potrebbe cedere di fronte all’ipotesi, niente affatto remota allo stato attuale, di terze elezioni in un anno. Il re Filippo VI, subentrato al padre Juan Carlos, vorrebbe evitare di sciogliere le Camere ancora una volta in modo anticipato. Per questo spinge per la rinuncia di Rajoy e l’astensione socialista.

Per quanto riguarda invece la prospettiva di medio e lungo periodo, sembrano non esserci alternative all’unità della sinistra moderata e alternativa tra Psoe e Podemos: da soli, uno e l’altro partito non potranno mai governare. Sono costretti al confronto, alla competizione, alla coabitazione e a misurarsi su un programma comune di governo.

Forse le due forze di sinistra hanno già perso l’occasione di formare un proprio governo dopo le elezioni dello scorso novembre, quando prevalsero le reciproche diffidenze e contrapposizioni. Perseverare nell’errore potrebbe essere fatale sia al patrimonio rappresentato dal Psoe, sia alle attese e alle novità suscitate da Podemos.