Sullo stallo del senato, dove è impantanato il pacchetto delle riforme costituzionali, il week end ha aperto un viottolo di dialogo fra il governo e le opposizioni. Tutte o quasi: e cioè con fronda Pd e con la fronda forzista, con Lega e persino con Sel, ma non i 5 stelle che preparano l’inversione di rotta e il ritorno allo scontro frontale.

Una stradina, un viottolo, che ieri mattina però stava di nuovo per chiudersi quando i senatori ricevono la lettera del presidente-segretario. «In queste ore vedere il Senato costretto a perdere tempo senza poter discutere in modo civile ma attraverso emendamenti burla è triste. È umiliante, immagino, trascorrere il vostro tempo, prezioso come il tempo di tutti i rappresentanti dello stato, a discutere di argomenti assurdi, come cambiare il nome della Camera dei Deputati in Gilda dei Deputati», scrive Renzi, parlando dell’ostruzionismo. «Verrà il giorno in cui finalmente anche certi ’difensori’ della dignità delle istituzioni si renderanno conto di quanto male fa al prestigio del senato e del parlamento mostrarsi ai cittadini come si stanno mostrando oggi», avverte. «C’è chi vuole bloccare tutto. E c’è chi vuole cambiare, iniziando da se stesso. Dalla vostra capacità di tenuta dipende molto del futuro dell’Italia. Siamo chiamati a una grande responsabilità: non la sprecheremo». Renzi, che dà per persi i voti dei 5 stelle, («Si può essere d’accordo o meno con questa riforma: definirla svolta autoritaria però significa litigare con la realtà», scrive), cerca di compattare il gruppo Pd. Il risultato lì per lì però non è smagliante: l’effetto della missiva sui senatori allineati non è un granché, e invece i ribelli tornano a irrigidirsi. Per Loredana De Petris, la senatrice di Sel titolare dei famigerati 6mila emendamenti ostruzionistici, «sono solo schiaffi in faccia». Per il ministro Mauro «è una supercazzola, non l’ha neanche mandata per mail, i suoi l’hanno appresa dalle agenzie. Siamo ancora là: le riforme contengono errori madornali che vanno corretti». Per il leghista Divina «la lettera è l’ordine del padrone».

Corradino Mineo, dissidente Pd, ironizza: «Fa bene Renzi a ringraziarci, perché se non era per noi oggi (ieri, ndr) non passava neanche la fiducia al decreto cultura. Ma sul merito delle nostre proposte sulle riforme continua a non dire una parola». In realtà la lettera una parola la dice, ma sull’Italicum. Sulla legge, dice Renzi, «abbiamo convenuto circa i punti fondamentali: chiarezza del vincitore, premio di maggioranza proporzionato, principio dell’alternanza. La discussione del Senato consentirà di affrontare i nodi ancora aperti: preferenze, soglie, genere». L’eventualità di un ritorno alle «preferenze» scatena altrreazioni a catena, stavolta a destra. L’Ndc applaude e chiede di vedere «i fatti», Forza Italia si gela e salta l’ipotesi di incontro fra Renzi e Berlusconi.

Ma stavolta nel gioco dell’oca del senato, non si torna alla casella di partenza. I dissidenti si vedono nel pomeriggio a Palazzo Cenci, dietro Palazzo Madama. Una discussione lunga e travagliata, a cui a un certo punto partecipano anche i 5 stelle. La decisione finale è quella di non arrendersi ma anche non rinunciare al filo di dialogo.

Lo spiegheranno stamattina. Il capofila sarà ancora una volta Vannino Chiti. A lui spetterà la proposta del «passo avanti»: le opposizioni chiedono che Renzi cambi metodo, che cada la tagliola, che l’8 agosto non sia più la data verso cui precipitare frettolosamente tutta la discussione. Il sì finale alle riforme dovrebbe slittare dopo le vacanze, a partire dalla ripresa del 2 settembre. In cambio offrono il ritiro degli emendamenti ostruzionistici e la garanzia di affrontare entro l’8 agosto le parti essenziali della riforma.

Un primo contatto informale di ieri pomeriggio con il governo non è andato male. Chiti, Tocci e Corsini erano anche pronti a fare un comunicato formale, ma alla fine hanno deciso di far succedere tutto in aula. E il governo non sarà sordo a questa ipotesi di agenda. «Vogliamo portare a casa le riforme», ha spiegato Renzi ai suoi, «non segnare un punto. Ma loro devono ritirare gli emendamenti. E se vogliono una settimana in più gliela diamo. Se invece vogliono bloccare tutto, diciamo no». La convinzione di Renzi è quella che gli ostruzionisti «si siano infilati in un cul de sac. Hanno tutta l’Italia contro». D’altro canto se la mediazione non andasse a buon fine, oggi stesso potrebbe scattare la prima prova del nove per la maggioranza. Sul voto sull’emendamento 1.29 firmato dal leghista Divina sulla diminuzione del numero dei deputati. Il testo è scritto in maniera tale da non poter essere ’spacchettato’, giura chi l’ha scritto. Quindi, se il presidente Grasso non trova un cavillo nei regolamenti, sarà un voto segreto.