Adiós Obama. Mancano ormai pochi giorni perché l’amministrazione del primo presidente nero degli Usa sia storia. Al di là di considerazioni tattiche o ideologiche, è lecito affermare che il suo è stato il governo nordamericano che ha posto maggior interesse e capitale politico nel rendere possibile il processo di normalizzazione con il governo cubano. E lo ha dimostrato anche la settimana scorsa emettendo una nuova direttiva presidenziale con la dichiarata intenzione di «rendere irreversibile» il processo iniziato nel dicembre del 2014 e negando che era intenzione della Casa bianca provocare un cambio politico nell’isola.

Intenzione, questa, clamorosamente confermata ieri all’Onu: gli Stati uniti per la prima volta non hanno votato contro la proposta di risoluzione per mettere fine al più che cinquantennale embargo Usa contro Cuba presentata dal ministro degli esteri dell’Avana. Il rappresentante di Washington, seguito a ruota dal fedele alleato Israele, si è infatti astenuto. Di modo che la mozione di condanna ha fatto il pieno: 191 voti a favore e due astenuti.

NELLA SETTIMANA che ha preceduto la votazione di ieri, a Cuba si sono susseguite manifestazioni antimperialiste, prese di posizioni di organismi della «società civile» – organizzazioni di massa legate al partito comunista o collettivi di lavoro di imprese statali – volte ad affermare che, nonostante le misure adottate da Obama, l’embargo – e le sue nefaste e illecite conseguenze per l’economia e la società cubana – seguono vigenti. Non è passato giorno senza che i telegiornali e i vari programmi della tv statale abbiano ripreso il tema del «Io voto contro il bloqueo» con un ritmo martellante nei giorni precedenti la votazione.

IN TUTTE queste manifestazioni organizzate nell’isola, il presidente numero 44 degli Usa è stato sottoposto a dure critiche. Una delle più contundenti è avvenuta durante una manifestazione di studenti riuniti di fronte all’università dell’Avana. Josefina Vidal, la diplomatica che guida da quasi due anni la delegazione cubana nelle trattative per normalizzare le relazioni con Washington, seduta su un improvvisato palco in mezzo a quello che è stato definito un avispero, uno sciame di giovani, ha più volte affermato che Obama non ha voluto usare tutte le possibilità in suo possesso per migliorare queste relazioni, in sostanza prendendo misure che favoriscono ben più gli Usa che il popolo cubano. Per non parlare del reiterato rifiuto a trattare l’abbandono della base Usa a Guantanamo, una delle condizioni poste dal governo di Raúl Castro – assieme alla fine del blocco – per giungere a una vera normalizzazione dei rapporti con Washington.

CON LE SUE DIRETTIVE e ordini esecutivi, però, Obama ha di fatto rafforzato il governo cubano: ha infatti indebolito gli anticastristi (la contra) del cosiddetto esilio storico della Florida mettendoli in conflitto non solo con i politici più aperti a una soluzione di un contenzioso storico definito disastroso dallo stesso presidente, ma anche con gli uomini d’affari nordamericani interessati a un nuovo e promettente mercato. Nonostante le dichiarate intenzioni di favorire «lo sviluppo autonomo della società civile cubana» e di «promuovere la democrazia a Cuba» , le direttive e le azioni del presidente Obama hanno indebolito anche l’opposizione interna all’isola (in generale dipendente dai finanziamenti nordamericani) e hanno spinto anche l’Unione europea a accelerare le trattative con l’Avana con l’obiettivo di mettere fine alla cosiddetta posizione comune – a suo tempo voluta dall’allora presidente Bush e dal suo omologo spagnolo Aznar.

SUL PIANO TATTICO la mobilitazione anti embargo ha avuto un grande successo – accolto con grande entusiamo ieri all’Avana: per la prima volta infatti gli Stati uniti si sono astenuti su una mozione dell’Onu che condanna una misura da loro decisa unilateralmente. Segno, appunto, che la politica di Obama lascia uno zoccolo duro sul quale può appoggiarsi – sempre che lo voglia – il prossimo capo della Casa bianca. La violenza delle critiche rivolte però a Obama dalla leadership cubana – sulle orme di Fidel che, nella sua ultima «riflessione» pubblicata dal quotidiano del partito comunista due settimane fa, ha proposto che al presidente Usa venga assegnata «una medaglia di coccio» – lasciano però il dubbio che la ripresa delle trattative non sarà facile.