A novembre 2012 sul «Wall Street Journal» usciva un articolo di Josh Michell secondo cui il debito degli studenti statunitensi era cresciuto fino a quota 956 miliardi di dollari. È noto, per chi segue un po’ le cronache finanziarie, come l’indebitamento privato negli USA sia stato la componente fondamentale della crisi del 2007-08, che le classi lavoratrici di tutto il mondo stanno ancora scontando duramente. Prestiti concessi con leggerezza che il sistema riusciva a sostenere finché i soldi giravano.

È un po’ meno noto che una parte consistente del debito delle famiglie riguarda l’educazione dei giovani; o meglio, dei giovani stessi che debbono indebitarsi per avere una formazione decente in modo da poter sperare in un impiego remunerativo nel futuro.

Ad aprile scorso lo stesso Michell torna sull’argomento sul «WSJ», con un titolo un po’ più allarmistico: il 40% di coloro che hanno attinto al prestito del governo americano per studiare non pagano. E una buona percentuale sta gettando la spugna dichiarando default. Nel 2012 fece un po’ scalpore lo sfondamento della soglia di 1.000 miliardi di debiti.

Quattro anni più tardi il panorama appare decisamente peggiorato, navighiamo oltre i 1.350 miliardi e non è l’entità della somma la parte peggiore, come notava Enrico Marro sul «Sole 24-Ore» dello scorso 27 aprile. Si tratta del fatto che la crescita appare inarrestabile, di circa 100 miliardi all’anno; e otto anni fa la cifra era della metà.

 

Il contesto, abbastanza da incubo, è quello del debito delle famiglie USA che, come ci informa la FED sul suo sito, a giugno 2016 ammonta a 12,29 trilioni, con un modesto (!) incremento di 35 miliardi dal primo trimestre dell’anno. Poiché al momento dello scoppiare della crisi (ottobre 2008) la cifra totale era di 12,68 trilioni, che rappresenta il picco storicamente più alto, si deve concludere che tutta la liquidità immessa dalla Banca Centrale nel sistema non ha impedito che si tornasse al livello di allora. Attualmente siamo sotto di un ben scarso 3%… La stessa FED si premura di farci sapere che i debiti degli studenti sono quelli che manifestano maggiori problemi coi pagamenti… E sarebbe curioso il contrario, perché come ricordava l’anno scorso il presidente della Fed di New York il debito studentesco è l’unica tipologia che fra il 2008-13 non ha smesso di crescere.

«Consumer reports», una associazione non-profit a favore dei consumatori, si è confrontata con alcuni funzionari il mese scorso su questi problemi. Uno di essi ha ammesso che lo stato ha smesso di investire nelle università pubbliche obbligando la gente a ricorrere ad istituti privati, e che la crisi ha spinto ad indebitamenti non previsti visto che il calo del reddito non poteva supportare un piano di investimento per l’università già programmato.

Tale politica può essere vista come negligenza o incuria o più verosimilmente, come far fuori la concorrenza della mano pubblica; dato che, come insegna un noto economista, un debito visto dal lato opposto è un credito (per qualcun altro), vediamo chi ci guadagna a proporre dei finanziamenti.

Il colosso dei prestiti per la formazione si chiama Sallie Mae, e possiede il 25% dei crediti degli studenti. Fondato come ente pubblico negli anni Settanta è stato privatizzato fra il 1997-2004, società quotata in borsa i cui due più consistenti pachetti azionari sono posseduti dal malfamato fondo Black Rock e dalla famosissima Goldman Sachs (11,5% e 11%, rispettivamente); nell’ultima presentazione disponibile (2 agosto c.a.) si riporta un guadagno netto di 213 milioni di dollari nel secondo trimestre.

Si comincia a sentir parlare di proteste e mobilitazioni di studenti indebitati (uno di questi, nella sua testimonianza si definisce «schiavo del debito d’onore»), che avrebbero un formidabile potenziale di contrattazione: se decidessero di non pagare nessuno sa cosa potrebbe succedere, visto il peso significativo che le dinamiche USA influenza potentemente il resto del mondo.